Calcio C, Brambilla: "Cesena è il posto che fa per me"

Se il Cesena avesse vinto anche a Imola, Alessio Brambilla avrebbe chiuso una settimana perfetta da 9 punti e... due anni di contratto. La vittoria al Galli non è arrivata, ma il centrocampista bianconero può ugualmente consolarsi.

Brambilla, cosa significa per lei aver firmato con il Cesena fino al 30 giugno 2024?

«E’ un attestato di stima e soprattutto di fiducia. Ma è anche un ulteriore aiuto per continuare a crescere dal punto di vista fisico, tecnico e tattico. Sono molto contento: in questi primi mesi ho capito che Cesena è il posto giusto per me».

Qual è stato l’impatto con il calcio dei grandi e cosa pensa di aver imparato in questi mesi dopo essere uscito dal Milan Primavera?

«Questo è un calcio totalmente diverso. La partenza è stata più complicata del previsto: dovevo abituarmi al nuovo mondo e alle nuove abitudini. Non c’è stata una difficoltà particolare, ho solo avuto bisogno di un po’ di tempo e di un po’ di pazienza. Se riguardo indietro e penso a questi mesi, penso di aver svoltato nell’approccio mentale ad ogni gara, nell’avvicinamento a una partita. Ho capito che ogni pallone fa la differenza e che i punti sono oro».

Cosa cancellerebbe dei primi mesi?

«L’infortunio, il mese e mezzo che ho perso dopo la prima gara da titolare, dopo il primo gol e dopo aver fatto una bella partita (un girone fa a Teramo, ndr). Sono stato costretto a ricominciare da capo, ma l’ho fatto con il sorriso».

Per voi giovani c’è una guida nello spogliatoio?

«No, ma se dovessi scegliere, direi Rigoni. Giochiamo nello stesso ruolo, quindi è naturale che mi possa aiutare».

La vera guida ce l’ha a casa ed è suo padre Massimo, che oggi allena l’Atalanta Primavera dopo una lunga carriera tra A e B. A livello calcistico, si rivede in suo padre?

«Siamo due centrocampisti tecnici, più di qualità che di quantità. Da mio papà credo di aver preso la visione di gioco e il saper gestire la palla. Lui era più dinamico, io sono più alto e magari più forte fisicamente».

Che tipo di rapporto avete?

«Normale, classico. Naturalmente parliamo delle mie partite, ma anche delle sue. Mi dice solo di lavorare e di avere sempre la testa sulle spalle, null’altro».

Cosa ricorda di suo padre da calciatore?

«Ricordo che sono nato quando lui giocava nel Torino, andavamo sempre allo stadio a vederlo. Il ricordo più piacevole, grazie anche alle foto che abbiamo e ad alcuni filmati, risale a Cagliari, quando vinse la B. Eravamo andati in campo con le famiglie, con lo stadio pieno, e fu bellissimo».

Lei ha sempre sognato di fare il calciatore?

«Certo. Anche perché, quando entri nel settore giovanile del Milan a 7 anni e ci rimani fino alla Primavera, l’obiettivo può essere solo quello».

Cosa ha imparato nei tanti anni in rossonero?

«Il settore giovanile del Milan è stato un percorso di vita: si diventa uomini e poi calciatori. Al Milan devi saperti organizzare e devi saper conciliare bene lo studio e il campo. In più sei in un ambiente in cui il rispetto è la prima regola».

Quali sono gli allenatori che le hanno insegnato di più?

«Ne ho avuti tanti, a cominciare da Walter De Vecchi quando ero un bambino. Con Lupi, nell’Under 16, ho vinto anche lo scudetto proprio al Manuzzi, Evidentemente lo stadio e Cesena erano già nel mio destino».

Quando il Milan non le ha fatto il contratto la scorsa estate, ci è rimasto male?

«No, li ho rispettati. Sono state fatte determinate scelte e di conseguenza abbiamo preso due strade diverse. Per me è stato un grande trampolino lo stesso e poi subito dopo è arrivato il Cesena, non mi è mica andata male».

Cosa le piace di più di Cesena?

«Il cibo, a cominciare dalle tagliatelle, e la vostra ospitalità».

E’ vero che studia ancora?

«Sì, mi sono iscritto al primo anno di Economia online. Sto cercando di dare più esami possibili, è difficile stare al passo ma ci provo in tutti i modi».

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