Calcio D, Balestra ora para negli Usa: "Amo Forlì, ma qui vivo un sogno"

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“Tu vuo’ fa l’americano” cantava Renato Carosone ma Federico Balestra, 19 anni, terzo portiere del Forlì, ha trovato per davvero l’America per una scelta di vita, di studio e di calcio. Ha lasciato Forlì e il nostro calcio per volare a Beckley, in West Virginia dove è situato il campus della West Virginia University Institute of Technology in cui frequenta il corso di business and management e gioca nella squadra del college che partecipa al campionato Naia (National Association of Intercollegiate Athletics).

Come ha maturato questa decisione?

«Fin da ragazzino ero affascinato dal mondo americano, dalle mille opportunità e da quel famoso sogno americano. Crescendo ho maturato l’idea di voler continuare i miei studi all’estero e lo scorso anno si è aperta questa occasione che ho deciso di cogliere ma la scelta non è stata presa subito e a cuor leggero, amo Forlì e non ho mai nascosto a nessuno il mio sogno di voler giocare per il Forlì. Al Forlì devo tantissimo, quando ero piccolo andavo spesso a guardare le partite allo stadio e questa fu la ragione per cui ho cominciato a praticare questo sport. E lo dissi subito, io da grande voglio giocare qui, fra la mia gente. Ho passato 9 anni della mia vita fra le mura del Morgagni facendo tutta la trafila delle giovanili sapendo che stavo vivendo il mio sogno».

Come è stato l’impatto con questo nuovo mondo?

«Al campus mi sono ambientato molto in fretta e da subito mi sono sentito a casa. L’ambiente è molto amichevole e ogni giorno hai la possibilità di conoscere e fare amicizia con moltissimi ragazzi da tutto il mondo. Amo il posto dove è situata l’università perché è immersa completamente nella natura».

Qual è la giornata tipo di Federico Balestra?

«Dal lunedì al venerdì la mattina è dedicata alle lezioni in classe. Alle 12 pranzo alla mensa del campus, successivamente chiamo amici e parenti e mi preparo per gli allenamenti. Ci alleniamo tutti i giorni dalle 16 alle 18. Al termine rientriamo al campus per studiare in camera o in biblioteca. La sera si va a mangiare in mensa o fuori con gli amici. Nei pressi del campus ci sono zone di svago come bowling o cinema, facilmente raggiungibili a piedi, o sale di ritrovo con biliardo e tavoli da ping pong».

Come è il livello del calcio negli Usa?

«Sono rimasto sorpreso positivamente ma parliamo di un calcio molto più fisico e meno tattico che la forte internalizzazione delle squadre rende interessante perché unisce culture calcistiche diverse tra loro. Nella nostra squadra non è presente nessuno statunitense ma prevalentemente giocatori sudamericani ed europei: la lingua che si utilizza per comunicare in campo non è l’inglese ma lo spagnolo. Il nostro allenatore è Oliver Hewitt-Fisher, viene dal Galles, è cresciuto nel vivaio dello Swansea e ha giocato nelle nazionali giovanili assieme a Bale e Ramsey. Giochiamo principalmente con il 4-3-3».

Ci sono altri italiani con lei?

«Siamo in sette. Oltre a me, ci sono altri 4 ragazzi italiani in squadra mentre 2 ragazze giocano nella squadra di volley».

Il campionato come si svolge?

«È diviso in conference regionali con formazioni molto forti e attrezzate che possono tranquillamente fare un campionato di D. La situazione cambierà nelle fasi finali a cui partecipano i vincitori della propria conference dove il livello si alza notevolmente. Le trasferte vanno in media dalle 2 alle 5 ore di viaggio».

Le manca qualcosa dell’Italia?

«La cosa che mi manca di più in assoluto è il cibo. Qui bisogna stare attenti a non cadere in tentazione perché hamburger, hot dog e pizza sono proposti ovunque, anche in mensa».

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