"Caccia alle streghe": Silvia Federici al teatro Bonci di Cesena

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Interessante incontro pubblico, al teatro Bonci di Cesena, oggi alle 17.30; nella Giornata contro la violenza sulle donne si parla di “Caccia alle streghe all’origine della violenza di genere”. Da New York si ascolta in diretta video Silvia Federici (1942), filosofa, teorica femminista, attivista per la parità di genere, insegnante emerita della Hofstra University, autrice di “Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria” (Mimesis 2015) che analizza il rapporto tra l’avvento del capitalismo e le radici di questa violenza. Con lei dialoga Rita Monticelli, ordinaria dell’Università di Bologna (docente di Patrick Zaki) coordinatrice del master internazionale Gemma (Women’s and gender studies).

Federici è studiosa del rapporto tra autorità patriarcale, capitalismo, identità e soggettività femminile, ha condotto una profonda revisione della teoria marxista sull’organizzazione del lavoro, ha interpretato l’attività riproduttiva femminile come elemento indispensabile a produrre forza-lavoro per il mercato.

Nelle sue ricerche, Federici, aveva ventilato il rischio dell’attuale recrudescenza violenta contro le donne?

«No, non perché non potessi immaginarlo, ma perché ho sempre voluto concentrarmi sugli effetti positivi del movimento femminista. Solo nel tempo mi sono resa conto del congiunto di fattori che hanno contribuito a tale violenza; la crisi causata dalla politica neo-liberale ha precarizzato ogni forma di lavoro e intensificato la risposta patriarcale di molti uomini alla rivendicazione di autonomia da parte delle donne; così pure l’aumento della violenza legittimata/tollerata, quando non autorizzata dallo Stato contro i migranti, a favore di una crescente militarizzazione della vita».

Nella sua analisi su Marx e capitalismo cita il salario come «creatore di gerarchie» tali da escludere la donna; senza questo tipo di sistema economico ciò non si sarebbe verificato?

«Il capitalismo non è l’unico sistema sociale patriarcale; ma ciò che importa, dal punto di vista del movimento femminista, è capire le modalità e la funzione delle gerarchie di genere nel capitalismo. È con il capitalismo che il salario diventa un elemento decisivo nell’organizzazione della divisione sessuale del lavoro, e il mezzo con cui il lavoro domestico è subordinato alla produzione della forza lavoro».

Quale altra opportunità potrebbe produrre una esistenza di sostegno economico soddisfacente per donne e uomini?

«L’alternativa che ha ispirato il mio attivismo è una società non più basata sull’accumulazione privata della ricchezza, sullo sfruttamento del lavoro umano e sull’esproprio del nostro potere decisionale. È una società in cui possiamo avere uguale accesso alla ricchezza prodotta e alla ricchezza naturale, in cui si possa collaborare e non competere; è anche una società in cui, come dicono molte compagne in America Latina, si ponga la vita al centro, il benessere collettivo sia lo scopo della produzione e dei rapporti sociali».

In “Calibano e la strega” riconduce la violenza contro la donna anche a una riproduzione della forza lavoro, la procreazione, che non considera la donna madre come base del sistema economico ed evolutivo, bensì sfruttata come generatrice di braccia e menti per il mercato. In caso di ribellione viene considerata “strega” da eliminare, in quanto inadatta al sistema economico. È una visione dettata anche da ignoranza?

«Al contrario; la caccia alle streghe dei secoli XVI e XVIII è stata promossa e giustificata da uomini dotti, ecclesiasti, di legge, governanti. Come ho scritto in “Calibano e la strega”, la caccia alle cosiddette streghe è da ricollegarsi ai processi violenti che hanno creato le condizioni dello sviluppo del capitalismo in Europa e nei territori colonizzati. È servita a creare muove forme di disciplina delle donne, a svalorizzare il loro lavoro e la loro condizione sociale».

La maternità è un problema per la donna e la coppia, il «salario al lavoro domestico», per cui si batteva già cinquant’anni fa, potrebbe favorire una distribuzione più equa?

«Il problema non è la maternità, ma la maternità imposta o negata. Lottiamo per il diritto all’aborto, ma dobbiamo lottare anche per il diritto a essere madri e non a costo della nostra vita o della vita di altre donne. Il salario al lavoro domestico contribuirebbe a considerarlo un lavoro, non una prerogativa delle donne».

Quali suggerimenti per invertire questa terribile piaga di violenza di genere?

«Sono necessari cambiamenti culturali, economici, istituzionali. Come ad esempio porre fine alla dipendenza economica delle donne dagli uomini, alla necessita delle donne di vendersi nella prostituzione, nel matrimonio, nei posti di lavoro salariato. La crescente militarizzazione della vita sta producendo, oltre a uomini pronti a risolvere i conflitti con la violenza, anche modelli “tossici” e aggressivi di mascolinità. Ma è pure necessario creare legami più forti e solidali tra le donne, per condividere problemi e ricevere aiuto. E, non ultimo, è necessario il coinvolgimento degli uomini, nella lotta contro la violenza contro le donne».

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