"Bunny Boy" di Lorenza Ghinelli: intervista alla scrittrice riminese

«Una favola nera che trasforma il quotidiano in un inferno. Ghinelli esplora le zone oscure dell’infanzia mescolando scene macabre e magia». Queste le parole scelte su “Robinson”per descrivere “Tracce dal silenzio”, opera della scrittrice riminese Lorenza Ghinelli che ora è pronta per dar seguito alla storia nella sua ultima fatica editoriale “Bunny Boy”, da giovedì 13 maggio in libreria, sempre per i tipi di Marsilio. Ghinelli ha esordito con “Il divoratore” (venduto in sette paesi), poi sono arrivati tra gli altri “La colpa” (finalista al Premio Strega) e “Almeno il cane è un tipo a posto”, vincitore del Premio Minerva. A fare da sfondo alla vicenda di “Bunny Boy”, ambientata nel dicembre 2018, c’è l’omicidio di un uomo trovato a pezzi per la città, mentre la piccola protagonista di 11 anni, Nina, rimasta sorda dopo un incidente, si rende conto di essere l’unica a poter fermare il killer. In questo libro torna protagonista il mondo dell'infanzia chiamato ad avere un ruolo di grande responsabilità. Nina è infatti l’unica capace di capire la realtà circostante e risolverne i conflitti.

Quale riflessione c’è dietro questa chiave di lettura?

«L’infanzia non è innocente – spiega l’autrice –, può essere oscura e cannibale, ma sempre e comunque degna di essere ascoltata. Nina ha il dono della precognizione, le visioni che la infestano la connettono alla mente dell’assassino e alla sua infanzia, perché Bunny Boy, prima di diventare uno spietato killer seriale, è stato un bambino spezzato. Non possiamo sanare tutte le storture del mondo. Non possiamo sempre riparare le ingiustizie, possiamo però contenere i danni. E cercare di fare errori diversi, non replicando le stesse catene. Credo che sia questa la responsabilità che più mi sta a cuore: capire che non possiamo rimanere indifferenti verso le storie di vita degli altri. Per potere fermare il massacro, in questo romanzo, Nina deve ascoltare le ragioni del male. Perché anche il male le ha».

In che modo convivono infanzia e oscurità in questa storia?

«Credo che l’oscurità ci appartenga, e che diventare adulti significhi soprattutto portare luce su ciò che in noi è sconosciuto. Infanzia e oscurità, pertanto, sono unite ai miei occhi da un legame indissolubile».

Che ruolo hanno i rapporti intrecciati da Nina nel corso del racconto?

«Nel precedente romanzo, “Tracce dal silenzio”, la fiducia di Nina è stata lesa in modo quasi irreparabile. In “Bunny Boy” la bambina comprende che non può, da sola, fermare l’assassino. Ha bisogno di alleati, e l’unico modo possibile per averli è imparare di nuovo a fidarsi: capirà che la fiducia non può essere data acriticamente. E se è vero che è sempre rischioso rendersi vulnerabili, lo è altrettanto il comprendere che è necessario. Le alleanze, per come vedo il mondo, sono tutto: sono per me le uniche amicizie e gli unici amori possibili».

Nel suo percorso ha scritto anche per teatro e tv. Immagina i suoi libri diventare serie tv o pellicole cinematografiche?

«Sì, io e Massimo Coglitore, regista meraviglioso, stiamo lavorando insieme alla sceneggiatura di “Tracce dal silenzio”. Desideriamo che diventi una serie tv».

Nel ruolo di docente alla scuola Holden, qual è il consiglio che più frequentemente si sente di dare agli studenti?

«Di coltivare il proprio talento, con determinazione e umiltà. Significa studiare, esercitarsi, essere curiosi di quello che scrivono gli altri, di ciò che pensano, di come vedono il mondo».

Qual è il suo rapporto con Rimini, la sua città?

«La amo visceralmente, da sempre. Dieci anni fa sono tornata a vivere qui, per scelta, e durante la pandemia ho avuto la conferma di come sia questa l’unica città in cui voglio abitare. È stata un rifugio, un conforto e una fonte inesauribile di ispirazione».

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