Botte e minacce per i daini, a processo animalisti e cacciatore

Ravenna

Da una parte c’erano i cacciatori, dall’altra i daini, in particolare quelli della pineta di Classe, bersaglio di un piano di contenimento che aveva dato il via libera alle doppiette. Un esperimento “problematico” quello avviato quattro anni fa per ridurre la proliferazione degli ungulati nel territorio ravennate, sospeso dopo qualche mese alla luce delle tensioni innescate tra chi aveva avuto il nulla osta per sparare e una nutrita schiera di animalisti pronti a azioni eclatanti. Uno di quei raid per interrompere la caccia al daino è giunto solo ora alle ultime battute di un processo per minaccia e lesioni, che coinvolge entrambe le fazioni. Così ieri davanti al giudice Tommaso Paone sono comparse tre persone: un cacciatore di 48 anni residente a Campiano e due attivisti di 66 e 54 anni che il 31 gennaio 2015 si sono spinti fino a Ravenna da Fano e Trento. Con loro c’erano anche altri due ambientalisti, un 37enne di Verona che per questi fatti ha patteggiato nel 2018 la pena a 4 mesi, e una ragazza, costituitasi parte civile per le asserite lesioni subite da parte del cacciatore.

Denunce reciproche

Stando alle accuse, quel giorno, nella pineta di Lido di Classe all’altezza dell’altana posizionata nei pressi di via Canale Pergami, il cacciatore, regolarmente autorizzato, si era ritrovato a vestire i panni della preda. Appostato in attesa del passaggio del bersaglio, era stato individuato dal gruppetto di animalisti che si era diretto verso di lui. Per il legale dell’uomo, l’avvocato Antonio Luciani, non avrebbe fatto altro che difendersi dall’aggressione, dopo essere stato tirato giù dalla postazione, preso a calci, pugni e colpito pure con uno sfollagente di metallo su tutto il corpo. Botte, è stato rimarcato ieri durante l’arringa difensiva, che gli sono costate una decina di giorni di prognosi in seguito al trauma indiretto del rachide cervicale e altre lesioni al volto.

Era stato proprio lui a chiamare i carabinieri della Compagnia di Cervia-Milano Marittima, ai quali aveva anche riferito delle intimidazioni proferite nei suoi confronti, mentre uno dei quattro gli bloccava la via di fuga: “Adesso che sappiamo come ti chiami ti verremo a cercare a casa e faremo a te e alla tua famiglia quello che tu fai ai daini”.

Una volta identificati, anche gli animalisti (difesi dagli avvocati Nicola Laghi e Francesco Damiani) lo avevano denunciato, tant’è che ieri a processo c’era anche lui, accusato di avere minacciato il gruppo di fargli fare “la fine di quei daini”, puntandogli contro il fucile da caccia. Era stata la ragazza a lamentare di essere stata insultata e poi colpita in faccia con il calcio dell’arma.

Le conseguenze

Il processo è destinato a chiudersi a gennaio con le repliche e la sentenza. Ma le conseguenze di quel piano di abbattimento ancora si ripercuotono sulle scelte per gestire la popolazione della specie selvatica. Già nei mesi successivi all’episodio, le proteste e il giustizialismo ambientalista “fai da te” avevano portato ad atti vandalici e risposte incrociate in un clima incandescente che in molti, tra le doppiette, ancora ricordano. Tant’è che ora il piano prevede la cattura e la sterilizzazione. Quanto ai cacciatori, non c’è nostalgia per i tempi in cui il contenimento faceva affidamento sulla loro mira.

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