Bongiovanni: il bivio della impresa sociale

In tempi di coronavirus , ormai all’unisono si è sollevato un coro che segna il presagio di uno choc, di un trauma, di una disruption e così via. Tutti a dire, ciascuno dal proprio osservatorio, economico, sociale, politico, che “niente sarà più come prima”. Questo tempo insomma, cosi vien affermato a più voci, segna un passaggio tra un “prima” e un “dopo” e chiede un cambio di passo, di paradigma. A ben vedere questo passaggio non è affatto scontato ed è possibile solo se si riesce ad attraversare la strettoia della “scelta”.

L'esito dipenderà effettivamente da come viene vissuto questo tempo, perché la pandemia è come uno specchio, ci costringe a fermarci, osservare e interpellarci sulla prospettiva di senso dei nostri sistemi economici e sociali e ambientali. Questo è vero per i singoli, ma è vero anche per le organizzazioni, che esprimono un identità collettiva. La situazione del coronavirus offre a tutti l’opportunità di una pausa, di fare un reset e un passo avanti.
L’impresa sociale è in prima linea nell’azione e gestione dell’emergenza in atto come rivelano le esperienze monitorate dall’Osservatorio sull’impresa sociale di Associazione Isnet che dialoga con un panel di oltre 1200 imprese sociali in Italia. Oltre agli aiuti alimentari, all’attivazione di canali web sotto lo slogan “distanti ma uniti” si diffondono da nord a sud le iniziative a sostegno del personale sanitario impegnato nella gestione dell’emergenza, con consegna spesa a domicilio, baby sitting, animazione e quant’altro. Tanta propositività che dice della capacità di questa forma di impresa a doppia produttività economica e sociale, di generare campi eco-sistemici anziché ego-sistemici, che sono caratterizzati da una prevalente spinta collaborativa anziché competitiva .
Della tentazione all’autoreferenzialità non è esente però nessuna organizzazione, compresa l’impresa sociale: la strettoia, il bivio a cui anche questa forma di impresa è chiamata oggi, vede una posizione conservativa di retroguardia da un lato, scelta ego-centrica, e quella dell’apertura e rilancio della propria vocazione emergenziale, nel senso proprio di stare a ciò che emerge nei contesti sociali, personalizzando le risposte ai bisogni. La prima scelta, mira alla ricostituzione dello status quo, la seconda chiede l’attivazione di un processo creativo che vede il coinvolgimento di più attori, diversificati per tipo e ambiti di attività; oltre agli altri soggetti del terzo settore, aziende, enti pubblici e singoli cittadini .
Lo sforzo è creativo perché la prospettiva qui definita eco sistemica non si riduce alla riedizione di modelli già noti, ma richiede un salto immaginativo, che permetta di espandere il punto di osservazione e cambiare la prospettiva .
“Niente sarà più come prima” , ma per l’elaborazione del “come sarà” siamo tutti ingaggiati, imprese sociali, aziende, soggetti pubblici, cittadini tutti, fin da subito protagonisti di un processo di discernimento collettivo, per disegnare il nostro futuro prossimo.
*Ricercatrice esperta di economia sociale e Presidente di Associazione Isnet per lo sviluppo dell’impresa sociale

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