Al Pd fa più paura il confronto della sconfitta

Rimini

Sondaggi autoprodotti alla mano, quelli del Partito democratico di Riccione sono seriamente convinti di vincere le prossime elezioni. Non al primo turno ma al ballottaggio. Piuttosto agevolmente - è la convinzione che circola nel partito - se l’avversario dovesse essere di nuovo Renata Tosi (la batosta del 2014 deve avere insegnato pochino), con qualche difficoltà in più, ma neppure troppe, se al primo turno dovesse spuntarla Andrea Delbianco, il candidato dei Cinque stelle.
Comunque vada sarà un successo, dicono i sondaggi, gli stessi che a Cattolica davano Gambini sindaco al primo turno. Dunque il problema di cercare un candidato che non sia la rappresentazione diretta della storia da cui Riccione nel 2014 (ma anche nel 2009, accorrendo in massa alle primarie del Pd per scegliere Massimo Pironi) ha detto chiaramente di volersi prendere una pausa non si pone neppure. “Schieriamo un titolare”.
Poi c'è lo spinosissimo capitolo delle alleanze. Il Partito democratico ha scelto di alzare un muro per non fare entrare chi si è macchiato della colpa di avere contribuito a portare Renata Tosi al governo della città, pur ingoiando il rospo di tornare a sedersi allo stesso tavolo con i “traditori” di Oltre, l’ex segretario del Pd Fabio Ubaldi in testa.
La logica dice che il Pd, mai così fiacco a livello nazionale, (che parte con sinistra e Immagina Riccione) insieme a “Patto civico-Riccione oltre” al ballottaggio ci arriva ma poi perde male o malissimo: le ultime elezioni a Riccione (contro il centrodestra) e Cattolica (contro i Cinque stelle) lo hanno dimostrato chiaramente.
Sempre la logica dice che se il Partito democratico vuole tornare a governare deve accettare il compromesso di condividere un programma e aprire la porta a chi, da pentito, vorrebbe evitare il ritorno della “sindaca regina” o di consegnare le chiavi della città a chi un consiglio comunale non lo ha mai visto.
Ciò che ha fatto infuriare Sergio Pizzolante, al punto di fargli ipotizzare un’uscita anticipata dalla scena politica riccionese (“una gabbia di matti”), è proprio questa vocazione alla sconfitta in nome della purezza ideologica senza che ci sia stato neppure un confronto sui programmi. Meglio un governo di Riccione con Luciano Tirincanti (o chi per lui) a occupare uno dei tanti posti chiave o lasciare la città completamente in mano a Natale Arcuri o ai seguaci di Grillo? La posta in gioco è esattamente questa. Brutalmente: mi taglio un dito subito o lascio andare in cancrena il braccio? Esiste un problema di coerenza in politica - ci mancherebbe - ma non può essere accecante, non può costringere a perdere in partenza.
È il coraggio del confronto che sembra essere venuto meno al Pd riccionese: ho le mie idee e me le tengo. Si continua a ragionare come se il tempo in cui il nome del prossimo sindaco lo si decideva alla Festa dell’Unità non fosse passato remoto. Come se una grande forza riformista oggi, nel 2017, potesse fare a meno di misurarsi con cattolici e moderati. Come se fosse possibile far finta che ai ballottaggi il Partito democratico perde sempre perché le forze di destra e i grillini si votano a vicenda sulla base di programmi che propongono soluzioni semplicissime a problemi ultra complessi ma proprio per questo convincono di più.
Ps. Se il Pd di Riccione ha deciso che è di coerenza che deve morire, come può permettere di far tornare nel proprio recinto Cristian Amatori (ex Pd ora in Oltre) dopo che da dirigente e braccio destro di Massimo Pironi ha fatto la campagna elettorale per Renata Tosi, compare in tutte le foto della festa dell’8 giugno 2014 e si è fatto nominare di nuovo dirigente dalla giunta di centrodestra?

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