Bloccata nell'Ucraina in guerra: "I miei figli a Gabicce hanno paura per me"

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«Ero tornata a casa a sistemare delle faccende urgenti, dovevo solo prendere dei documenti. Ma adesso sono bloccata qui, non posso più partire». Tetyana Boliunova, presidente dell’associazione riminese “Mondo pacifico”, è rimasta intrappolata dal precipitare celere degli eventi, da quell’invasione annunciata dagli 007 e sottovalutata da tutti, dagli ucraini in primis, quelli che ieri mattina si sono svegliati con le file fuori dai supermercati, dalle banche e dalle farmacie, «con la colonna delle auto lungo la strada» e con «i pianti delle donne disperate». Nell’anniversario dei due anni dallo scoppio della pandemia, un nuovo dramma scuote l’umanità. E se da una parte ci sono semplici spettatori, quelli che seguono l’avvicendarsi dei colpi di mortaio e degli attacchi alle basi militari con la preoccupazione per l’incertezza del futuro, dall’altra parte ci sono quelli che la guerra in Ucraina la vivono sulla propria pelle. Quelli a cui l’invasione delle truppe del Cremlino ha stravolto la quotidianità, i piani e i progetti.

Bloccata in Ucraina

Dal racconto di Tetyana, che a Gabicce ha lasciato i due figli di 33 e 14 anni, emerge chiaro come il clima di «normale guerriglia», quella che andava avanti da 8 anni, sia improvvisamente mutato in quello di una guerra vera con una rapidità che nessuno aveva messo in conto. «Ho cercato subito di capire come fare per tornare in Italia. I miei figli, i miei amici, mi chiamano continuamente per dirmi che devo salire sul primo bus che mi porta via dalla mia terra, ma adesso è impossibile: hanno bloccato anche le Regioni. Stamattina (ieri, ndr) un sacco di persone si sono riversate alla frontiera e siccome sono diventate troppe, hanno deciso di chiudere i confini. Sono bloccata, spero di riuscire a tornare presto in Italia, anche se lo confesso: mi sento in colpa a dirlo. Il mio Paese è questo, ma i miei figli hanno paura per me». È un fiume in piena, Tetyana, che dalla città di Krivoy Rog, nella provincia di Dnipropetrovsk, spiega soprattutto l’incredulità della popolazione, ma anche la consapevolezza della necessità di mantenere il sangue freddo, «anche perché, in realtà, non è come fanno vedere in televisione». «Per tranquillizzare i miei figli, ho fatto delle videochiamate in modo che vedessero che per strada non ci sono spari, che passano gli autobus, che qui è tranquillo». Tranquillo, però, mal si coniuga con un cielo libero dal traffico aereo, soppresso per il pericolo che i missili russi abbattono i velivoli in transito. «Alle 9 il volo era confermato. Alle 10, invece, erano stati tutti cancellati. La mia unica possibilità per andarmene, ora, è raggiungere Leopoli, poi la Polonia e poi l’Italia».

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