Bla, bla, bla, basket: l'arte degli allenatori di mascherare le sconfitte

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“L’Italia? Ha una cultura sportiva ancora immatura. Le reazioni alle vittorie e alle sconfitte sono sproporzionate, soprattutto a novembre, quando non si vince niente. Tanto più c’è emotività e risultatismo, tanto meno le squadre funzionano e hanno prospettiva di crescita”.

Parole e musica di Sergio Scariolo, uno che il mondo della palla a spicchi (e non solo) l’ha girato davvero, estrapolate da una recentissima intervista al Corriere dello Sport. Il punto di vista del coach della Virtus Bologna non è una novità, anzi si allinea a quello di tantissimi dei suoi colleghi, pure di altre discipline sportive, dalla massima serie fino ai dilettanti veri. E questo, scusateci, ci fa un po’ sorridere.

Bla, bla, bla, basket

Ormai tutti gli allenatori, dirigenti e giocatori (in ordine decrescente di frequenza), parlano di importanza della prestazione, della continuità del rendimento, dei valori tecnici e morali espressi e “bla bla bla”. Aggiungiamo, noi, riprendendo il recente intervento polemico di Greta Thunberg al Cop 26 Glasgow, “bla bla bla”. Comprendiamo il punto di vista di chi fa sport, soprattutto a livello professionale e ad altissimo livello, però non bisogna dimenticare che sempre di sport stiamo parlando. Ovvero di un’attività umana che permette ai suoi protagonisti di essere remunerati (tanto o poco) grazie alla passione dei tifosi, dai quali parte poi quel circolo virtuoso che coinvolge sponsor, tv, ecc. ecc. Bene, pensiamo di non sbagliarci affermando che alla stragrande maggioranza dei tifosi di tutto il mondo non interessa minimamente la prestazione. Interessa il risultato. Come è giusto e logico che sia. Quindi questo nuovo linguaggio, sempre più utilizzato (purtroppo le mode funzionano così, anche quelle verbali) dai protagonisti dello sport, comincia un pochino a stancare.

Frasi fatte a tutela del proprio lavoro

Comprendiamo l’esigenza di tutelare il proprio lavoro (inteso soprattutto come posto), comprendiamo la necessità di non dipendere dal singolo risultato in 10 mesi di attività e accettiamo pure l’umana frustrazione di non poter controllare l’incontrollabile, ovvero un confronto fra 10 “omoni” su un campo rettangolare e una palla a spicchi nel mezzo (restando al basket ovvio), però questa nuova moda non ci piace. Rientra, sicuramente, nell’eterna dialettica fra chi fa sport e chi lo sport lo narra (o giudica), vedi i giornalisti, ma allenatori, dirigenti e giocatori (sempre in quest’ordine) dovrebbero ricordarsi che il loro vero interlocutore sono sempre e solo i tifosi. E i tifosi la classifica la guardano dopo ogni partita, anche più volte. E non solo in Italia, ma in tutto il mondo. E ai tifosi della qualità tecnica della prestazione, del competere o della qualità del lavoro settimanale, “frega” zero. Insomma, nell’attesa di una nuova moda, perché statene certi prima o poi arriverà, adesso sarebbe bello sentire ogni tanto un allenatore commentare: “Sì, questa è una brutta sconfitta. E rode perdere così, anche perché si trattava di una partita importante per noi. Il nostro obiettivo si allontana e la classifica piange. Dobbiamo reagire”. Perché in fondo è quello che pensano, poi. Un po’ di sana pressione e di “stress” professionale fanno parte del pacchetto, che va accettato in toto. Piaccia o no.

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