Biondi: "Così riparte l'Arboreto Teatro Dimora di Mondaino"

MONDAINO. Dall’Arboreto Teatro Dimora di Mondaino arriva un segnale positivo per un ritorno alla normalità del sistema teatrale regionale e nazionale. È infatti una delle prime realtà nazionali di residenza a ripartire dopo quasi tre mesi di chiusura. Riapertura per accogliere di nuovo la ricerca degli artisti in sicurezza e a porte chiuse.
Si incomincia oggi con un appuntamento online per raccontare la passione di chi si è trovato di fronte a un “vuoto” e ha cercato di mettere in scena e in rete le proprie riflessioni sul destino dell’arte e degli artisti. La web serie dal titolo “Mi manchi”, realizzata dalla Piccola Compagnia Dammacco durante il lockdown, verrà messa in onda per tre venerdì consecutivi a partire da stasera alle 21 sul canale Youtube dell’Arboreto. La puntata odierna è dedicata alle “Residenze artistiche”, attività fondante dell’Arboreto dove la compagnia avrebbe dovuto trascorrere 20 giorni di residenza. Lavoro comune continuato a distanza tra Serena Balivo, Fabio Biondi, Paolo Brancalion, Mariano Dammacco, Elena Di Gioia, Erica Galante, Francesca Giuliani, Gerardo Guccini, Simonetta Piscaglia, Alessandro Toppi.
Dal 1° giugno si riparte
Poi, lunedì 1° giugno, fino al 15, parte la prima residenza creativa post Covid, quella della coreografa e danzatrice Paola Bianchi con il musicista Fabrizio Modonese Palumbo; titolo del progetto “OtherNess”.
Di questo intenso lavoro e della riapertura abbiamo parlato con il direttore Fabio Biondi.
Come avete vissuto il lockdown?
«Il tempo sospeso della pandemia, la distanza dei corpi e della socialità, è stato uno spazio negato alle relazioni e quindi al dialogo e confronto. Per molti, questa negazione si è trasformata in un’occasione, un tempo diverso, per riflettere sulle criticità di un sistema che è stato colto all’improvviso e ha messo in discussione un’apparente normalità, evidenziando profonde anomalie e disequilibri di valori e forze in campo».
In che modo avete continuato a relazionarvi con gli artisti?
«Con questa consapevolezza, nei tre mesi di chiusura delle attività dello spettacolo dal vivo, abbiamo sempre mantenuto il dialogo con gli artisti, gli operatori e gli amministratori. Ciò per comprendere le criticità di ieri e di oggi, e immaginare uno scenario nuovo, o quasi nuovo, al netto degli errori commessi, a favore di un diverso equilibrio e di ponderate priorità da adottare».
Concretamente significa che…?
«Che abbiamo svolto un lavorio quotidiano che ci ha permesso anche di avanzare ipotesi di ripresa delle attività, in sicurezza e nel rispetto delle norme, per rimettere gli artisti di nuovo al centro delle scene dei teatri per attività di studio, ricerca, composizione di nuove opere o allestimento del repertorio. In sostanza, abbiamo chiuso la porta principale d’ingresso ma nel retrobottega del nostro laboratorio abbiamo lavorato tutti i giorni, in remoto, per non farci trovare impreparati, non solo come tempistica, bensì come consapevolezza del nostro ruolo di Centro di residenza della Regione Emilia-Romagna».
La vostra realtà è la prima ad aprire, come ci siete riusciti?
«La nostra intenzione non era tanto quella di arrivare primi alla riapertura dei teatri a porte chiuse, in attesa del pubblico che, se tutto andrà bene, potrà farlo dal 15 giugno, ma quella di essere pronti e attrezzati per l’accoglienza degli “atti di pensiero” che nasce sempre dall’ascolto e dal dialogo».
Da cosa siete partiti per impostare la riapertura?
«Quando la nostra Regione ha emesso l’ordinanza secondo cui dal 18 maggio si potevano aprire i teatri per attività di produzione, residenze e prove, per noi è stato facile mantenere gli accordi già assunti e nel frattempo rimodulati sulla base delle esigenze degli stessi artisti, riprogrammare le attività di residenza annullate da marzo a maggio, proporre agli artisti di utilizzare le potenzialità della rete. la “drammaturgia della rete” per mettere in scena il vuoto di una residenza che non è stata realizzata per il Coronavirus».
Significa che il lavoro in questi 90 giorni non si è mai fermato?
«In assenza dei corpi, in questo periodo di distanziamento dalle piazze reali la rete ha permesso la circolazione delle idee e delle opere, le piazze virtuali del sapere, mantenendo vivo il fuoco del confronto e dell’approfondimento di determinate questioni vitali per la cultura, l’arte e lo spettacolo dal vivo».
Premesse che spiegano la riapertura.
«Sì, per questi motivi, L’arboreto Teatro Dimora di Mondaino ha potuto riaprire subito le porte senza aspettare troppi giorni. Nel corso della pandemia, prima ci siamo impegnati a mettere in sicurezza i lavoratori e gli spazi, poi a comprendere di nuovo il significato della nostra realtà per gli artisti e la comunità di Mondaino che determina la qualità del nostro progetto».
E come vi sentite adesso?
«Ecco, possiamo dire che non siamo arrivati impreparati alla riapertura degli spazi e delle attività, e che la chiusura forzata ci ha permesso di comprendere maggiormente il nostro ruolo di luogo e progetto di residenza per definire nuove modalità di “alleanza e solidarietà” con gli artisti, i cittadini e gli spettatori».

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