Benny & The Good Men: disco di debutto per la band riminese

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Si intitola Gifts il disco di debutto della band riminese Benny and The Good Men, quartetto guidato dalla cantante Benedetta Zavatta, con Stefano Pagliarani al piano, Jimmy Innocenti al contrabbasso ed Enrico Ro alla batteria. La raccolta comprende sei brani, che spaziano dal jazz al blues, dal folk americano alle ballate, con la bella voce di Benedetta in primo piano.

«Ho iniziato a cantare solo tre anni fa – racconta Benny –, un po’ per scherzo e un po’ per divertimento. Avendo tanti amici musicisti, alcuni dei quali stavano mettendo su una band e avevano bisogno di una cantante, sono sempre stata nella musica, ma mai in prima linea. In precedenza avevo cantato in un coro gospel e nel coro della chiesa, mai in una band».

Come nascono Benny and The Good Men?

«Il nome è stato scelto per assonanza con Benny Goodman, simbolo dell’epoca e del genere di musica che volevamo fare: all’inizio suonavamo jazz e swing anni ’50 e ’60, e ci vestivamo anche in tema. La band si basa sull’asse tra Stefano e me, che scriviamo e realizziamo la maggior parte delle tracce, poi si aggiungono altri con noi, in formazione variabile, anche dal vivo».

“Gifts” comprende però molti altri generi, oltre a quelli che lei ha citato.

«È vero. Il disco è nato un po’ come la somma dei suoni e generi che ci piacciono, senza preoccuparci di che cosa stavamo scrivendo e se fosse piaciuto a chi ci ascolta. Un’amica mi ha chiesto se le avessi fatto ascoltare una playlist di brani che mi piacciono, piuttosto che il mio disco; addirittura pensava che ci fossero più voci diverse a cantare, e ha colto nel segno. È stato registrato completamente in casa di Stefano, che suona un po’ tutti gli strumenti e ha uno studio casalingo. Lui ha provato tutte le parti, poi, dove non eravamo convinti, le abbiamo fatte suonare a specialisti di uno o dell’altro strumento».

Perché “Gifts” (“regali”)?

«L’ho voluto chiamare così perché i brani mi sono venuti in mente di getto, senza fatica, come dei veri e propri regali che la musica mi ha fatto. Il ascoltavo nella mia testa, e avevano già parole e musica; il difficile è stato comunicarli a un musicista che li rendesse reali. Per me è stato un po’ come provare dei vestiti, tanti vestiti, e scegliere quelli giusti e gli abbinamenti. È strano, perché io di professione faccio la filosofa, quindi sono sempre alle prese con la strutturazione del pensiero, invece in questo caso è stato un processo di istinto, non di pensiero».

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