Basket, Alex Righetti: "Sul podio olimpico ho rivisto la mia vita"

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Ci sono sportivi che si permettono di rifiutare una convocazione olimpica come il viziato tennista Jannik Sinner, ce ne sono altri che ricorderanno per tutta la vita le emozioni che solo un’Olimpiade può regalare. Se poi si ha la fortuna di salire sul podio, beh, allora la carriera ha toccato il punto più alto in assoluto. In estrema sintesi è quello che è capitato ad Alex Righetti, ormai vicino ai 44 anni ma che ad Atene ne aveva 27 e giocava per la Virtus Roma dopo essere nato, cresciuto ed esploso con la canotta del Basket Rimini.

Righetti, ma cosa sono le Olimpiadi?

«Già la partecipazione è il sogno di tutti gli atleti. Che poi diventa qualcosa di incredibile quando si arriva in finale e ci si gioca la medaglia d’oro. È stato favoloso far parte di quel gruppo 17 anni fa, vincere partita dopo partita, avvicinarsi alla finale e tutti abbiamo fatto un pensiero alla medaglia d’oro anche se quell’Argentina era fortissima».

Cosa ha pensato quando è salito sul podio di Atene?

«Per un attimo ti passa davanti tutta la carriera sportiva: sacrifici, delusioni, vittorie, gli anni passati a lavorare sui fondamentali con Paolo Carasso. Quando si vince una medaglia così pesante si dà un senso a tutte le cose che sono state fatte. Ci guardavamo, consapevoli di aver fatto un’impresa, dopo aver vissuto per due mesi come dei fratelli».

Il villaggio olimpico?

«Spettacolare, ma sarebbe stato spettacolare anche ci fossimo trovati in una catapecchia. A parte i cestisti americani che alloggiavano su una nave da crociera attraccata al Pireo, c’erano i più grandi sportivi di quell’epoca, la mensa era aperta 24 ore, incontrarli era semplice».

Le è tornata in mente l’avventura di Atene domenica sera quando ha visto l’Italia battere la Serbia a Belgrado?

«Ho tifato per loro, è stata coinvolgente, una partita preparata benissimo e giocata con grande cuore e cinismo. E non è mai facile quando in palio c’è qualcosa di così importante».

Uno dei primi a essere messaggiati da Alex Righetti è stato il suo ex tecnico Piero Bucchi, ora nello staff guidato da Meo Sacchetti.

«Sono contento per Piero, partecipare alle Olimpiadi ripaga di tanti momenti anche negativi come quelli che ha vissuto lui nell’ultimo anno. Allargando il concetto, la gioia è maggiore perchè l’Italia del basket era purtroppo abituata a restare fuori dai Giochi e spero che questa qualificazione possa essere sfruttata da tutto il movimento cestistico, non come accaduto l’ultima volta».

Si è parlato dell’inserimento di Gallinari e del sacrificio di uno degli “eroi di Belgrado”. Vista da coach, cosa avrebbe fatto Righetti?

«Darei rispetto e valore a chi ha ottenuto la qualificazione. Io avrei protetto questo gruppo dove emergono le individualità di dodici ragazzi che hanno confermato un concetto: i risultati vengono quando l’obiettivo è condiviso».

Prima di Alexil compiantoVendemini

L’impresa di domenica a Belgrado ha un precedente. Cioè, 35 anni fa (8 maggio ‘76), sul campo di Edimburgo, furono ancora azzurri e slavi a giocarsi un posto per le Olimpiadi di Montreal. Quella volta era la Jugoslavia unita, di gente come Cosic, Delibasic, Kicanovic, Dalipagic e compagnia. L’Italia vinse 84-79 e conquistò il pass per i Giochi. Assoluto protagonista fu il riminese Luciano Vendemini che poi fece parte della spedizione azzurra per il Canada ma un anno dopo morì tragicamente a Forlì il 29 febbraio ‘77 a soli 24 anni quando era nello spogliatoio con la casacca di Torino.

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