Baseball, quando Da Silva l’interbase diventò Tiago il lanciatore

Si può giocare contemporaneamente interbase e lanciatore ad alti livelli, o meglio, forse si poteva giocare in entrambi i ruoli. Un esempio su tutti per non spostarsi di tanto è quello di Mike Romano, fortissimo shortstop e ancor più forte quando saliva sul monte. Poi c’è il caso di Tiago Felipe Da Silva, uno che di professione faceva l’interbase e batteva come un fabbro, poi quando l’hanno scoperto lanciatore, ha messo la mazza nel cassetto e la sua carriera è esplosa.

Bisogna anche capire perché un ragazzo che nasce a San Paolo in Brasile, a 7 anni prende la palla con le mani e non con i piedi. «Mio padre mi portava a giocare a calcio, ma era difficile emergere giocando a pallone. Nella mia città c’era anche un campo da baseball, un giorno arrivarono due allenatori cubani, a 7 anni quindi decisi di provare il baseball nel settore giovanile del Suzano, a 10 ero già nella nazionale brasiliana, ricordo la prima vittoria in Perù nei campionati giovanili sudamericani».

Come nasce il Tiago “italiano”? «Un mio coach, Orlando Santana, era in contatto con Frank Pantoja che lavorava nella società di Redipuglia: cercavano un interbase per il campionato di A2 e sono arrivato in Italia (il secondo anno battè .455, ndr)».

Qui conosce Katia Boscarol che diventerà poi sua moglie e l’ex giocatrice di softball accetta la proposta delle Titano Hornets, la scommessa femminile di San Marino. Tiago la vuole seguire, il contatto giusto è quello di Marina di Ravenna dove Dino Piutti e i Waves lo accolgono a braccia aperte per giocare in A2. «Il mio status di straniero non mi consentiva di essere utilizzato come pitcher in A2 quindi continuai a giocare interbase (media battuta .384, ndr) pur allenandomi in bullpen. E ricordo quella stagione con tanto affetto».

Fu anche la sua ultima annata con il “bastone in mano”. «Mi chiamò San Marino, avevano un visto straniero da spendere ma non giocai interbase, anzi non giocai in alcun ruolo difensivo, mi provarono sul monte (per testarlo chiamarono in bullpen anche Elio Gambuti, ndr)».

«Chi mi ha colpito di più dei nuovi? Tiago, ha una bella dritta e un buon cambio molto scomodo per gli avversari». Erano le parole di Doriano Bindi nel 2008 in pre-season.

«Giocai da rilievo durante il girone d’andata - riprende Tiago - e da partente nel ritorno e alla fine vincemmo il primo scudetto».

A quel punto prende il passaporto italiano e intanto la sua carriera comincia a impennarsi: con la nazionale italiana gioca (e vince) gli Europei, partecipa a Mondiali e World Baseball Classic. Poi Messico e Venezuela.

Che Tiago sia bravo non c’è dubbio, ma si sente anche fortunato per essere stato al posto giusto nel momento giusto? «La cosa più importante è avere qualità, altrimenti la gente non ti viene a vedere. La fortuna è aver trovato ottime società con le persone giuste che mi hanno aiutato nel corso della mia carriera».

Lo sa che in molti sono saliti a San Marino per vedere garaquattro delle finali scudetto perché lanciava Tiago? «Eh sì, l’ho saputo e questa cosa mi riempie d’orgoglio. Si vede che ho lasciato un buon ricordo e questa gente meritava di tornare a vincere dopo tanti anni. Mi ha fatto piacere di aver contribuito ad aver riportato lo scudetto a San Marino, per la società, per i compagni e per i tifosi».

Pensa di tornare a giocare un campionato intero a San Marino? «Ho 36 anni, credo di averne ancora 3-4 di professionismo. Tra i miei obiettivi c’è quello di terminare la carriera a San Marino, come riconoscenza per chi mi ha aperto le porte nel mondo del baseball».

E ora gli Europei in maglia azzurra. «Ho risolto qualche problema con la Fibs e ora spero di lasciare un buon ricordo anche con la nazionale».

Come è andata l’ultima stagione in Messico? «Non facile per la mia squadra perchè giocavamo a 1900 metri di altezza sul livello del mare e per i lanciatori era complicato».

Anche San Marino è in altura. «Non me ne sono accorto».


Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui