Autoproduzione: i lavoratori del porto sono sul piede di guerra

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«Se quegli emendamenti procedono nel loro iter sciopereremo, fermando l’operatività delle banchine del porto». Oltre quattrocento lavoratori tornano a temere per il loro futuro. E il segretario provinciale della Filt Cgil ravennate, Marcello Santarelli, è molto chiaro sul ritorno sul tavolo del tema “dell’autoproduzione”, ovvero l’opportunità ora vietata dello sbarco di merci dalle navi attraverso il personale di bordo. Un’operazione che viene spesso riproposta ma ogni volta esclusa, per le problematiche di sicurezza che si ingenererebbero in un ambito delicato come è quello della banchina portuale. Nelle parole di Santarelli c’è però la portata della tematica, «che non attiene soltanto alla fondamentale questione della salute dei lavoratori e l’integrità delle strutture». L’esponente della Cgil spiega come «sia assolutamente insensato parlare di posizione dominante delle aziende che, per ogni scalo, gestiscono gli sbarchi. La vera posizione di privilegio che dovrebbe preoccuparci è quella di operatori che, come avviene a Gioia Tauro nel porto del Pireo, detengono gli asset infrastrutturali fondamentali. Se facciamo chiudere loro il cerchio, concedendo anche la possibilità di questa fase logistica, decideranno loro il prezzo. Abbiamo già visto cos’è successo sui noli dei container, dove questi grandi gruppi hanno fatto cartello – mette in guardia Santarelli -. Il costo dopo si riverserebbe su tutti: non solo sui lavoratori, ma anche sui consumatori».

Per questo secondo Santarelli è necessario che le proposte di modifica che sono state depositate all’interno del ddl Concorrenza, che sopprimerebbero il divieto di “scambio di manodopera tra le diverse aree demaniali date in concessione alla stessa impresa o a soggetti comunque alla stessa riconducibili”, sono da rigettare. A favore di questa opportunità si sono espresse, firmando propri emendamenti, Forza Italia e Fratelli d’Italia. In un primo momento erano di questo avviso anche Lega e Italia Viva, che hanno però ritirato i testi che avevano depositato.

Testi che, qualora passassero, metterebbero «a repentaglio il lavoro di 400 lavoratori della Compagnia portuale di Ravenna – spiega ancora il segretario della Filt -. Dobbiamo poi metterci in testa che il lavoro in banchina è pericoloso. E ogni porto è a sé, con proprie caratteristiche che necessitano di specifica formazione. Bisogna ricordare che, per certi versi, l’autoproduzione è già possibile. L’armatore però deve mettere a disposizione personale con specifiche abilitazioni e conoscenza delle leggi di sicurezza sul lavoro. Non prende però piede perché non conviene. Il passo successivo vuole essere quello dell’utilizzo dello stesso personale di bordo. Che sancirebbe – conclude Santarelli – un passo indietro inaccettabile nei diritti dei lavoratori».

Oltre che al parlamento, da parte del livello nazionale della sigla sindacale Cgil c’è un appello anche al dicastero competente: «Il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili – è la presa di posizione del segretario nazionale della Filt Cgil, Natale Colombo - è chiamato a difendere queste nostre legittime ragioni sulla cui condivisione è stato sottoscritto il 16 dicembre 2021 un protocollo di intenti. Siamo pronti a ripartire da lì a difesa del lavoro e dei lavoratori portuali».

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