Ausl: medici al lavoro dopo la laurea per salvare i pronto soccorso

Difficoltà nei pronto soccorso, mesi per ottenere una visita specialistica o un esame diagnostico: alla mancanza cronica di personale sanitario si aggiungono ore le assenze per le sospensioni di chi non vuole vaccinarsi e quelle degli aderenti agli ultimi scioperi indetti dalla Fisi contro il green pass. Un’adesione, quest’ultima, che a livello di Ausl Romagna «non ha comportato grossi problemi» afferma il direttore generale Tiziano Carradori «ma di cui, ovviamente, il cittadino che aveva prenotato analisi del sangue o una visita con un medico che ha aderito allo sciopero, ha subìto le conseguenze».

Ma la carenza di medici è un problema che, secondo Carradori, va risolto all’origine «nell’incardinamento dei laureati non ancora specializzati, come si fa in tanti altri Paesi del mondo». «E’ ormai oltre un anno che le professioni sanitarie sono carenti ovunque, un problema che esiste in tutta l’Italia e che quindi va risolto a livello centrale» sostiene il dg.

I comparti sofferenti

In Ausl Romagna le criticità di questa impossibilità di recuperare personale sono più evidenti nei pronto soccorso (a Rimini la dirigente Tiziana Perin ha già lanciato l’allarme sul Corriere Romagna, ndr) «ma anche in anestesia, Gastroenterologia, Ostetricia-ginecologia» aggiunge Carradori che spiega come fino ad ora si è sopperito alle carenze, evidenziando però che di questo passo «alcuni piccoli pronto soccorso potrebbero subire le conseguenze più drastiche, penso ad esempio a Santarcangelo di Romagna».

«Fermo restando che le misure straordinarie non risolvono il problema, noi cerchiamo di integrare con turni aggiuntivi ai medici o spostamenti da un reparto all’altro, ma questo va fatto entro limiti umanamente sopportabili. Ma abbiamo anche creato incentivi per favorire questi spostamenti, abbiamo liberato circa 9 milioni di euro in risorse incentivanti per integrare il personale ad esempio dei pronto soccorso».

Ma non basta. «Per le attività semi professionali da contratto vengono pagati 33-34 euro all’ora aggiuntive, noi andiamo dai 60 a 90 euro l’ora proprio per aumentare l’attività medica. Siamo anche andati a cercare personale nel settore privato al quale abbiamo chiesto collaborazione proprio per evitare tempi di attesa troppo lunghi per visite ed esami». Quindi alla carenza cronica di personale si aggiunge poi quella dovuta al recupero delle prestazioni rinviate causa Covid.

La riforma auspicata

«Bisogna risolvere il problema alla base e va fatto mettendo mano a una riforma che adegui i percorsi formativi alle necessità. Ovvero, più scuole di specializzazione ma possibilità di inserire i laureati in medicina subito in ambiti lavorativi, in modo che lo studio e la formazione procedano di pari passo. Invece dobbiamo aspettare anche 5 anni per avere specialisti e quando si fanno i bandi i vincitori magari scelgono altre destinazioni. E a questo si aggiungono la “concorrenza” del settore privato, dove i contratti di lavoro possono adeguarsi di più alle richieste dei professionisti e dove gli orari di lavoro non sono come quelli ospedalieri». Non ultimo «per avere risorse adeguate occorre finanziare il servizio sanitario nazionale, e in Italia al momento è sottofinanziato del 25-35% rispetto al sistema sanitario europeo occidentale. Se non facciamo riforme e non mettiamo finanziamenti adeguati sono solo chiacchiere, il problema non si risolve».

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