Ausl, i tragici conti del Covid: in 2 anni una spesa da 350 milioni

«Due anni pesantissimi, drammatici, che hanno messo a dura prova l’intera struttura sanitaria. E dai quali siamo riusciti a venirne fuori grazie agli enormi sacrifici compiuti dai nostri medici, infermieri, ausiliari, amministrativi. Due anni che hanno evidenziato capacità professionali, organizzative, tecniche, indiscutibili della sanità pubblica romagnola e di cui i cittadini dovrebbero andare fieri». Il direttore generale dell’Ausl Romagna, Tiziano Carradori, prima di esaminare dati e costi economici legati alla lotta al Covid e di fare il punto sul post-pandemia, vuole riconoscere il grande lavoro compiuto dal personale sanitario «che, in nome della cura dei malati, ha messo in gioco anche la propria vita».

«Quanto abbia inciso il contrasto al virus sul sistema sanitario della Romagna – spiega Carradori – lo possiamo facilmente misurare correlando le spese sostenute per la pandemia al bilancio consuntivo 2021. Ebbene, su un rendiconto totale di 2 miliardi e 600 milioni di euro, la voce costi-covid ammonta a qualcosa come 208 milioni di euro, così suddivisi: 94,5 milioni per assumere nuovo personale, 1.800 tra medici e, soprattutto, infermieri, ausiliari, amministrativi, il resto per acquistare mascherine, macchinari, respiratori, e perfino per inserire in organico degli steward addetti alla sicurezza. Cifra, questa, che, nel previsionale 2022, si abbassa a 157 milioni di euro, di cui 81 milioni spesi per il personale». Insomma, nel bilancio complessivo dell’Ausl Romagna, la lotta al virus pesa per un 10% circa. «Certo – conferma Carradori -, anche se, pian pianino, la situazione si sta normalizzando, visto il calo dei ricoveri nei reparti covid e, soprattutto, nelle terapie intensive».

I grandi numeri

Sette i presidi ospedalieri operativi tra le province di Rimini, Cesena, Forlì e Ravenna; 2900 i posti letto pubblici complessivi; 18 mila dipendenti tra sanitari e amministrativi, di cui 9.500 infermieri circa e 3.500 medici circa. Cifre di un certo spessore, che, rapportate al numero di prestazioni sanitarie offerte, evidenziano il livello di forte centralità che la Sanità romagnola riveste nell’intera regione: 16 milioni di prestazioni ambulatoriali, 200 mila ricoveri, 71 mila interventi chirurgici. Solo nel 2021. E su un totale di 1 milione 122 mila abitanti. Se poi aggiungiamo l’arretrato accumulato (377 mila prestazioni ambulatoriali tra marzo e dicembre 2020) e snellito («ad oggi, siamo riusciti a rimuoverne il 98%, tra servizi offerti e data della visita fissata», sottolinea Carradori) comprendiamo quanto sia stato l’impegno del personale in questi 730 giorni di full immersion da covid. «Devo dire – continua il direttore generale – che quello che ci è capitato è servito per monitorarci, una sorta di stress test, che alla fine ha certificato che la macchina sanitaria pubblica romagnola è ben rodata per tutte le emergenze, anche le più gravi e impreviste, come appunto una pandemia. Con operatori costretti a prestare la loro assistenza anche in più reparti».

Pressione sul territorio

Non solo ospedali, anche la medicina territoriale ha subìto una pressione massiccia in questi due anni. «Basti dire – rilancia Carradori – che i medici di medicina generale hanno dovuto rivoluzionare il loro lavoro. Oltre ad offrire un valido supporto ambulatoriale, infatti, hanno dovuto aumentare anche le prestazioni domiciliari. Tutto questo con un organico sottodimensionato di un buon 10% a causa della grave carenza di medici che non riesce a coprire i continui pensionamenti. E il combinato disposto di mancanza di nuovi professionisti e di pressione lavorativa aggrava sempre più la situazione».

Precisa Raffaella Angelini, direttrice sanità pubblica Ausl Romagna: «Il medico di base oltre all’assistenza sanitaria prestata ai propri pazienti si è dovuto sobbarcare pure un incredibile mole di lavoro di natura prettamente burocratica. Parlo ad esempio delle informazioni raccolte e delle certificazioni inviate agli uffici competenti per le quarantene o le assenze dei lavoratori». Tuttavia, nonostante un deciso calo della pressione pandemica, Angelini invita a non abbassare la guardia: «Se con l’approssimarsi della bella stagione e del caldo – avverte la direttrice Ausl-, il virus allenterà la presa, nel prossimo autunno non sappiamo quale potrà essere la situazione. Già nelle prossime settimane tasteremo con mano le conseguenze del “liberi tutti” di Pasqua. Le nuove varianti: omicron, omicron 2, xe, poi, che sono molto più contagiose del virus originario, quello di Wuhan per intenderci, mettono a rischio i fragili, anche vaccinati, e soprattutto i non vaccinati. Per questo bisogna continuare a vaccinarsi, anche se in Italia siamo ad un buon 90% di popolazione vaccinata, perché solo il vaccino può salvarci dalla morte e dalle terapie intensive».

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