Aumenti di bollette e materie prime mandano in crisi i fornai

Archivio

Il sistema economico romagnolo che gravita attorno alla materia prima “farina” è in subbuglio. Non si tratta certo del primo modello imprenditoriale che entra in crisi dalla fine dell’anno scorso e, purtroppo, non sarà nemmeno l’ultimo, poiché il mix “letale” di inflazione e speculazione sta portando l’Italia in recessione, colpendo le aziende da ogni lato fino al punto di star minando seriamente la loro stabilità. In un contesto di relazioni mondiali già fortemente complesso, la guerra in corso si è inserita improvvisamente portando impatti sia diretti che indiretti sui prezzi delle materie prime e sui costi di produzione, andando così ad aggravare uno scenario fortemente in difficoltà. Tra questi c’è appunto il prezzo di beni agricoli quali il frumento tenero e il frumento duro, alla base della produzione della farina e poi, di conseguenza, del pane. A cosa stia conducendo tutto questo lo spiega bene la storia di Andrea Lama. Perché se è vero che, lato produttori di farina, le vendite e i fatturati sono comunque in crescita, allo stesso tempo i panificatori faticano non poco e il fornaio 49enne titolare del negozio Canducci di Piangipane (nel Ravennate) a fine agosto, dopo essersi visto recapitare l’ennesima bolletta a tre zeri, ha dovuto chiudere, lanciando un grido di allarme che è riecheggiato per tutta la nazione. «Farò causa ai fornitori di energia elettrica». La promessa l’ha mantenuta, e ora resta da vedere quale sarà l’esito.

Prezzi pazzi

Ma è solo un problema di costi energetici? La risposta è no. Certo i prezzi delle bollette oggi sono il nodo principale dello tsunami che sta travolgendo le piccole attività artigianali, ma esiste anche un tema di valore della materia prima che purtroppo non è affatto di secondo piano. Lo si vede chiaramente andando ad analizzare le rilevazioni fatte ogni mese dalla Borsa merci di Bologna. Se fino al 2019 il prezzo del frumento tenero viaggiava tra i 220 e i 260 euro per tonnellata, tra agosto e settembre di quest’anno lo stesso identico prodotto viene scambiato tra i 360 e i 400 euro per tonnellata – quasi il doppio. Lo stesso vale per il frumento duro: nel 2019 il prezzo era di 240 euro circa per tonnellata, adesso è salito a 500 euro. Secondo gli analisti di Areté (The agri-food intelligence company), che la scorsa settimana hanno presentato il loro rapporto annuale “Commodity agricole 2023, i picchi registrati quest’anno (almeno sul grano tenero) sono persino superiori ai livelli che vennero fatti segnare nel 2008 e nel 2011. Ma c’è di più, sempre stando agli esperti, le tensioni sui prezzi continueranno pure nella prossima campagna.

Il conflitto in corso

Anche il conflitto tra Russia e Ucraina sta contribuendo a spingere l’aumento dei prezzi del frumento. Nei dati di Areté si legge che dallo scoppio della guerra c’è stato un aumento dei prezzi del 34% sul mercato del tenero. Tuttavia, in questo caso le conseguenze sono di natura più indiretta che diretta. Parlando di grano tenero, l’Italia importava dall’Ucraina appena il 5% del proprio fabbisogno e dalla Russia quantità assolutamente irrisorie (Ungheria, Francia e Austria sono i nostri principali interlocutori), mentre per quanto concerne il grano duro il nostro Paese è il secondo produttore mondiale dopo il Canada, ma anche il principale importatore del globo. Persino in questo caso, però, le importazioni di Russia e Ucraina sono sempre state piuttosto marginali. Allora, come sta influendo la guerra sul prezzo finale della farina? I problemi riguardano il nostro inserimento all’interno di un mercato globale, che ha visto ridursi sensibilmente le forniture di questi due prodotti a causa del conflitto in corso. Chi si riforniva da questi due Paesi (Africa in primis) ha dovuto trovare nuove strategie e questo ha generato un impatto sui listini mondiali di commodities quali frumento tenero, frumento duro e anche mais. È così che, insieme alle bollette impazzite da 5-6mila euro al mese, si è arrivati a casi come quelli di Andrea Lama a Piangipane o di Paola Bernabini a Savignano, che pochi giorni fa ha chiuso il suo “Forno Art”. E potrebbe essere solo la punta dell’iceberg, perché dalle analisi fatte dalle associazioni di categoria, il 10% dei panificatori potrebbero non reggere più al mercato.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui