Arpesella: «Il coronavirus tra il caso Floyd e gli errori di Trump»

Rimini

Il caos del Covid con la gestione Trump, i disordini dopo l’uccisione di George Floyd, la difficoltà di prenotare un volo per tornare in quella che, alla fine, è casa. Peter Arpesella, attore residente negli Stati uniti d’America, ma originario di Rimini, erede della famiglia che per decenni gestì il Grand hotel, racconta come il coronavirus si è insinuato nelle esistenze di tutti, stravolgendo la quotidianità anche all’interno delle ville lussuose di Beverly Hills. In Italia dall’inizio di luglio insieme alla moglie, Peter Arpesella sta ora programmando il viaggio di ritorno a Los Angeles. Un viaggio non privo di ostacoli, viste le limitazioni imposte al traffico aereo tra Italia e America, proprio a causa del Covid-19. Ma proprio l’aver vissuto la pandemia dall’altra sponda dell'oceano, permette oggi ad Arpesella di affermare che, in Italia, tutto sommato, non è così drammatica la situazione. «In America - dice infatti l’attore - siamo passati da una situazione di quarantena e calma assoluta (a Los Angeles, non in tutto il Paese, ndr) a uno stato di guerra a causa dei disordini dopo l’omicidio di George Floyd. Il tutto accresciuto dalla fuorviante gestione del presidente Donald Trump che ha contribuito al dilagare dell’epidemia».

Arpesella, in che situazione era l’America quando l’ha lasciata?

«I dati di adesso non sono tecnicamente confrontabili con quelli di aprile e marzo, perché allora nessuno faceva test, e i casi noti erano solo quelli dei sintomatici. Trump non ha certamente reso facile la gestione della pandemia, e solo recentemente, grazie all'opposizione di tutti i governatori, è stata approvata la possibilità di fare test gratis o attraverso un’assicurazione. Oltre a ciò, ci sono poi i gruppi di volontari, come quello diretto da Sean Penn, che va con un’equipe a fare test nelle zone più disagiate. Ora, infatti, i test li fanno tutti, e questo ha permesso di far emergere la realtà. Se lo stesso numero di persone fosse stato testato prima, i numeri sarebbero saliti molto prima. Ma proprio la gestione confusa e fuorviante di Trump ha permesso ad alcuni Stati come il Texas, la Florida o l’Arizona di non prendere precauzioni, e questo ha certamente aiutato a dare una diffusione così ampia al virus».

Come è stato il lockdown negli Usa?

«Il nostro è stato molto diverso dal vostro. Nella maggior parte dei posti è stato estremamente blando, non ho saputo di nessuno che è stato fermato per strada. Ma per fortuna, in città come Los Angeles, New York e Chicago sono state prese precauzioni e la cittadinanza ha osservato la quarantena. Dove abito, io, a Los Angeles, infatti, il lockdown c’è stato. Le strade erano deserte e si facevano lunghe file intorno all’isolato per andare a fare la spesa nei supermercati».

Cos’è successo con l’assassinio di George Floyd?

«Siamo passati da uno stato di quarantena e calma assoluta, in cui ho guardato l’oceano e letteralmente sentito la terra “tirare un respiro”, a uno stato di guerra, da un giorno all’altro. Vedevamo i dimostranti inseguiti dalla polizia sotto casa, gli elicotteri delle forze dell’ordine sorvolavano i centri abitati, e a questi si aggiungevano quelli dei media che facevano le riprese. Sembrava di stare in un film di guerra. E poi non dimenticherò mai l’odore del legno che si respirava in città. Dopo la prima ondata di proteste (in cui, in realtà, a creare scompiglio erano persone estranee alle manifestazioni che intervenivano proprio per creare confusione, non i dimostranti in sé, che erano pacifici) tutte le attività commerciali sono state sbarrate con assi di legno per impedire che durante gli scontri venissero rotte le vetrate o la gente entrasse a fare razzia. Anche io e mia moglie ci siamo uniti a una protesta di motociclisti a Santa Monica».

Considerando le restrizioni per i voli, quando pensa di riuscire a tornare a casa?

«Già arrivare è stato difficile, perché abbiamo dovuto provare con documenti alla mano la necessità lavoro e il nostro stato di coniugi con il certificato di matrimonio, ma ritornare forse è ancora più complesso. Volevamo ripartire l’8 agosto, ma poi il volo è stato cancellato come quello del 9 e del primo settembre. Alitalia ci ha detto che avremmo fatto meglio a chiedere il rimborso del biglietto, perché non c’erano voli per l’America fino alla fine dell’anno. Mi sono anche rivolto all’ambasciata americana, e spero di riuscire a partire per i primi di settembre. Però, prima di tornare a casa negli States, mi piacerebbe presenziare all'intitolazione alla mia famiglia dei giardini di fronte al Grand hotel».

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