Arnaldo savioni il ceramista xilografo

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Arnaldo Savioni (Faenza 1895-1983) dopo gli studi tecnici frequenta la scuola di disegno diretta dal 1909 fino al 1954 dal pittore lughese di matrice divisionista Roberto Sella. La prima pratica di ceramica la svolge seguendo gli insegnamenti del concittadino Anselmo Bucci, titolare della Bucci Anselmo Ceramiche dal 1923. Nel 1925 Savioni si trasferisce a Montelupo Fiorentino per lavorare in alcune piccole manifatture locali dedicandosi anche alla gestione e alla direzione artistica. Nel 1928 rientra a Faenza dove, in società con il finanziatore Paride Lambertucci e il ben noto torniante “Galett”, Vincenzo Melandri, prende la direzione della “Trerè”, la storica fabbrica di ceramiche fondata da Angelo Trerè nel 1878. Durante la sua gestione la produzione dell’azienda riprende in qualità e quantità entrando nel mercato internazionale e ricevendo consensi autorevoli come i diplomi di merito ottenuti alla seconda e terza edizione del Concorso Nazionale della Ceramica del 1939 e del 1941. Purtroppo la fabbrica viene distrutta dai bombardamenti nel 1944. Nel secondo dopoguerra entra a far parte dei collaboratori della Fornace Domeniconi” di Cesena gestita dal titolare Vincenzo, specializzata nella produzione di laterizi e manufatti da giardino in terracotta. Dal 1954 nell’azienda è attiva una sezione dedicata alla ceramica artistica diretta fino al 1955 dallo scultore forlivese Amedeo Masacci, poi da Alfonso Piancastelli di Mordano fino al 1958 e infine dalla bolognese Maria Luisa Merini fino al 1961, quando la produzione artistica viene interrotta. Questa è in sintesi la storia ufficiale di un valente artista del quale poco è disponibile dell’attività di ceramista svolta, mentre si conosce parte della sua pregevole produzione xilografica a partire dagli anni ’60. Il merito va ad Aldo Spallicci, direttore de “La Piè”, la rivista che perpetua la tradizione romagnola dell’incisione su legno, per le copertine della quale Savioni impiega una propria tecnica semplice, quasi primitiva, ispirata alla tradizione più antica delle stampe popolari. Per quella del 2° fascicolo del 1963 interpreta l’impresa araldica del signore di Faenza Astorgio I° Manfredi, il documento marmoreo rinvenuto tra le macerie della torre di Ceparano da lui fatta costruire. Le successive sono ispirate all’araldica romagnola come quella del 5° fascicolo del 1965 dedicata allo stemma, verde e oro degli Ordelaffi signori di Forli, “La terra che fé già la lunga prova / e di Franceschi sanguinoso mucchio, / sotto le branche verdi si ritrova” come ricorda Dante nel 27° canto dell’Inferno. Nel 1967 si dedica alla quercia sintetizzata nella semplicità dei suoi elementi compositivi: radici, fusto, foglie e ghiande, “esplose” sulla pagina. La rocca di Monte Battaglia è una costruzione militare di controllo posta su un’altura a cavaliere fra il Senio e il Santerno dove si sono svolti aspri combattimenti in passato. Con la linearità della sua sgorbia Savioni ne raffigura il massiccio maschio quadrangolare incorniciato nell’ovale della copertina del 1969, messa in evidenza dal confronto con il disegno del 1847 eseguito dal suo concittadino Romolo Liverani. Infine il simbolo storico della Romagna, la “caveja” con le anelle, i campanelli e il leone manfredo rampante con spada e due code, traforato nella pagella, pubblicato nel 1971.

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