Rimini, il giramondo delle regate che trasforma le vele in borse

Aria di Mare

RIMINI. Come velista ha fatto regate in tutto il mondo: dalla Sydney-Hobart al Fastnet. Come velaio è stato al servizio di team importanti come Ericsson e Groupama nel giro del mondo della Volvo Ocean Race o il Tp52 Azzurra, girando di porto in porto, collaborando fianco a fianco con velisti di fama come Torben Grael o Ben Ainslie. Il belga Jean-Martin Grisar, 52 anni, nativo di Anversa ma cittadino del mondo, da tre anni ha deciso di fermarsi in Romagna, più precisamente a Rimini, a Marina Centro.

«Ormai era da 35-40 anni che giravo il mondo e mi ero stufato di viaggiare», spiega. «Così mi sono detto: perché non provare a inventarsi un lavoro stando a casa?». E così è nata l’idea di realizzare delle borse attraverso il materiale delle vele dismesse. «Dacron, kevlar, carbonio... anziché buttare via tutto si può recuperare la parte meno usurata della vela e così si riescono a realizzare delle borse molto resistenti».

Nel suo laboratorio di via Pola, dove ha sede la “J-M Sails and bags” e dove tiene anche la sua bici da corsa (fra le altre cose ha anche fatto la guida ciclistica) arrivano rande, genoa e spi che hanno “combattuto” in regata e si trasformano in pochette, sacche da mare, borse da viaggio. «Grazie a Internet ho clienti anche all’estero e i mie tanti contatti a livello internazionale mi riforniscono di continuo di materiale. La parte più difficile sono le giunzioni. Bisogna stare molto attenti per collegare le due parti durante la cucitura».

Già, ma perché ha deciso di fermarsi a Rimini? «Era il 2008 e mi trovavo ad Alicante nello shore team di Ericsson dove lavoravamo per la partenza della prima tappa della Volvo Ocean Race. È lì che ho conosciuto Silvia, la mia compagna, dalla quale poi ho anche avuto un figlio. Era in vacanza e dopo la partenza avevo qualche giorno libero, così l’ho seguita a Rimini. Ma non ho fatto a tempo a rilassarmi che mi hanno subito chiamato dal team. C’era stata un’avaria a bordo della barca. Dovevo andare a New York, prendere una scatola con dentro del materiale elettronico e consegnarlo alla barca quando passava vicino all’isola di Fernando de Noronha, in mezzo all’Atlantico. Sono partito subito e aiutato da un pescatore dell’isola e dalla sua barca ho lanciato il pacco a bordo. Poi sono andato a Città del Capo per l’arrivo della tappa e poi ancora a Singapore dove mi ha raggiunto Silvia. Sì, specie all’inizio, abbiamo avuto una vita frenetica che ha fatto venire qualche dubbio a chi aveva a cuore il futuro della mia compagna... Poi è nato Federico e alla fine ho deciso di fermarmi».

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