Porti romagnoli insabbiati: dragaggi costosi e complicati, ma ora c’è una speranza

RIMINI. Il paradosso è che da un lato si assiste all’innalzamento del mare dall’altro i porti della Romagna e le loro imboccature vedono al contrario innalzarsi il fondo e i fondali sono sempre più bassi. I fenomeni sono completamente slegati uno dall’altro. Nel primo caso entra in causa il riscaldamento globale. Nell’altro la difficoltà di dragare i canali e le loro imboccature a causa di una legge che ha cercato di proteggere l’ambiente. Da Cesenatico a Cattolica, da Rimini a Cervia, ogni anno pescatori, diportisti e forze dell’ordine devono fare i conti con questo problema e spesso si assiste all’incagliamento delle barche che in certe situazioni può essere anche pericoloso.

Escludendo il porto di Ravenna che per dimensioni e investimenti è uno dei più grossi d’Italia, Cervia, Cesenatico, Bellaria, Rimini, Riccione, Misano Porto Verde, Cattolica sono porti nati lungo la foce di fiumi o in prossimità di essi. Dai fiumi arrivano sedimenti che si depositano nei canali o vengono portati in mare e si depositano lungo la costa, portati dalle correnti. In passato di dragava e si buttava tutto in mare. Il decreto legislativo 152 del 2006, per evitare di scaricare al largo materiale inquinante, ha cercato di regolare questa pratica demandando al ministero dell’Ambiente la scelta di queste modalità Ma si è dovuto attendere un po’. Infatti questo decreto è arrivato solo nel 2016 (il numero 173). E qui sono cominciati i problemi.

Dragaggio, lungo e costoso iter

«Obbliga i concessionari a un iter oneroso e complesso senza neanche sapere se alla sua conclusione il lavoro potrà effettivamente essere svolto», così spiega e ha detto in documento trasmesso al governo Roberto Perocchio, presidente di Assomarinas, associazione italiana dei porti turistici, alla quale aderiscono quasi tutte le realtà romagnole. «Rilievi batimetrici, prelievi di sedimenti, analisi chimiche, fisiche biologiche, colorometriche ed ecotossicologiche, il tecnico che costruisce e firma la pratica... Preparare solo l’istanza alla Regione ha un costo medio di 25-30mila euro. In certi casi un piccolo dragaggio di poche migliaia di metri cubi può costare tra i 200 e i 300mila euro. I porti turistici non hanno quasi mai la possibilità di allontanare i sedimenti dell’ambito portuale e quindi ripristinare correttamente i fondali di progetto se non attuando lavorazioni estremamente onerose di conferimento a discariche a terra dei sedimenti. Per cui può anche succedere che si metta a preventivo una spesa e che questa dopo le analisi diventi più alta di quel che ci si aspettava e magari blocca tutto».

Camminare nel porto canale

Lungaggini e costi hanno avuto quindi un effetto su tutti i porti con situazioni imbarazzanti come è accaduto negli anni scorsi a Riccione dove in presenza di bassa marea si è potuto camminare con l’acqua poco sopra le ginocchia e dove in questi giorni si sta effettuando un dragaggio. Oppure come quando nel 2017 una barca a vela con una scolaresca si incagliò all’imboccatura del porto di Cervia.

Mario Drudi, segretario della Casa del Pescatore di Cesenatico, qualche mese fa aveva lanciato l’idea. «Perché non proviamo a utilizzare i fondi del Pnrr per risolvere questo problema?». L’appello però non ha avuto seguito. «Un peccato», spiega, «perché era un’occasione che difficilmente potrà ricapitare. A Cesenatico tanto per fare un esempio, in meno di 20 anni si è perso mediamente un metro, un metro e mezzo di acqua. Alcuni posti del porto sono stati abbandonati per non correre il rischio di restare bloccati. Nella zona delle barche storiche nei periodi di secca si può arrivare a 40 centimetri di acqua».

I rischi all’imboccatura

Una situazione che non aiuta l’attività della pesca con i rischi di restare bloccati o di trovarsi banchi di sabbia all’imboccatura (in caso di mare con moto ondoso finire nel cavo basso dell’onda può risultare pericolosissimo). E non aiuta nemmeno il diporto, inteso sia come tempo libero ma anche come attività economica visto che la Romagna è uno dei due poli nautici più importanti d’Italia e il settore è in forte crescita. «Ma canali liberi da questi sedimenti», aggiunge Drudi, «sono anche uno sfogo in più per fare uscire l’acqua verso il mare quando si verificano alluvioni come quella dell’anno scorso».

«Su Rimini», spiega Massimo Pesaresi, direttore della Cooperativa Lavoratori del Mare, «il problema si presenta all’interno del porto canale dove negli ultimi anni il pescaggio è diminuito. Andrebbe dragato dal ponte della Resistenza in giù, mentre negli ultimi anni sono stati fatti solo dei piccoli interventi. I pescherecci più grandi pescano 2,80-3 metri e durante la bassa marea in certi punti toccano il fondo, All’imbocctura problemi non ce ne sono ma anche lì adesso c’è meno acqua».

«Qui a Porto Garibaldi», aggiunge Nicola Sangiorgi, gestore di un impianto carburanti sul porto del Ferrarese, «abbiano perso almeno un metro negli ultimi 15 anni. Prima eravamo a 4 metri, adesso in alcuni punti siamo a due. I dragaggi vengono fatti ma risolvono i problemi in modo parziale e temporaneo».

La speranza

«Questa», continua Perocchio, «è una delle massime urgenze del diporto e penalizza molto il settore. Ma c’è una speranza. Il Piano del mare elaborato dal governo pone la questione dei dragaggi come prioritaria, c’è un Osservatorio nazionale dei dragaggi che ha lavorato al miglioramento della normativa e si sta cercando di rendere tutto più veloce pur mantenendo le tutele per l’ambiente. La speranza è che nel giro di due anni si possa arrivare a compimento di questo percorso». Giovedì 8 febbraio il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha istituito con un decreto il gruppo di lavoro per la revisione dell’allegato tecnico legato al decreto 173/2016.

In alcuni ambiti, per la verità, si sono tentate anche strade innovative ma sono rimaste marginali. A Cervia, per qualche anno si è sperimentata la tecnologia di dispositivi ad eiettori che 24 ore su 24 lavoravano nelle zone di accumulo. Qualcosa di analogo è stato realizzato in una parte interna del porto di Cattolica. In attesa di novità, però, non resta che sperare che il lavoro del Ministero dell’Ambiente porti a un risultato efficace.

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