La ricerca: «Rimini e le città costiere romagnole hanno il bisogno di iniziare a pensare dal mare per un nuovo sviluppo evolutivo»
RIMINI. “Navigare Rimini”: questo il titolo dell’evento in programma oggi alle 17 presso il Campus di Rimini (Aula Alberti 7). Saranno presentati i risultati della ricerca sul turismo nautico, la città e il suo rapporto con il mare. Oltre all’intervento di Alberto Forte, autore della ricerca, sono previsti interventi di Carmela Fimognari (direttrice Dipartimento di Scienze della Qualità della vita), Alessia Mariotti (presidente Campus Rimini), Anna Montini (assessore del Comune di Rimini) e Noemi Bello e Valentina Ridolfi (Fondazione Piano Strategico).
Dottor Alberto Forte, voi siete convinti sia necessario un nuovo, rinnovato, rapporto fra le città costiere romagnole e il mare che rischia di essere considerato alla stregua di un “ingrediente cosmetico”. Perché?
«In realtà’ questo non è un rischio. È ciò che ha dettato lo sviluppo di città come Rimini, un modello di città turistica costiera di seconda generazione. Lo stesso è avvenuto altrove, anche in altre città europee dove il mare è rimasto una cosa da guardare: uno sfondo urbano. Se il potenziale del mare e’ relegato alla crescita economica allora il mare può solo rimanere uno sfondo per interventi strutturali di cosmesi urbana e, come è successo lungo l’Adriatico, di speculazione edilizia fine a se stessa. In più c’è da dire che città turistiche costiere come Rimini (ma lo stesso discorso potrebbe valere per altre città come Cervia, Cesenatico, Bellaria, Riccione o Cattolica), dipendenti economicamente e socialmente da una delle forme più tradizionali di turismo, sono soggette a un costante processo di cambiamento evolutivo. Per evolvere questa tipologia di città costiera ha bisogno di iniziare a pensare dal mare, non più dalla terra ferma con una mentalità di terra invertendo cosi la prospettiva delle politiche locali di sviluppo. Cosa implica questo? Una profonda riconnessione. Ecco che rivedere la relazione di questi centri urbani con l’ambiente marino diventa un fatto evolutivo. Questa spinta a un rinnovato rapporto con il mare non viene solo da una nostra convinzione. Noi abbiamo solo traslato a scala regionale e locale un trend di pensiero scientifico che è vecchio almeno di 150 anni ma che oggi le Nazioni Unite, attraverso la Ocean Decade, rivendicano come necessario per salvaguardare il pianeta».
Avete individuato il turismo nautico come opportunità di aprire un nuovo capitolo, un potenziale per ricollegare persona e natura, perché?
«Sì, lo abbiamo fatto per una varietà di motivi legati proprio alle qualità intrinseche di ciò che abbiamo chiamato ‘il potenziale del luogo’ dove per ‘luogo’ intendiamo, a livello geografico, l’insieme di tutti gli elementi che compongono mare aperto, linea di costa ed entroterra. Questa è una visione un po’ particolare che deriva da una ‘tecnologia’ che fa capo ad un approccio rigenerativo allo sviluppo territoriale. Uno di questi elementi è proprio il turismo nautico in relazione alla città turistica costiera.»
Cosa riceve un turista facendo un giro in barca?
«Potenzialmente molto. Anche solo a livello superficiale, riceve la possibilità di invertire un consolidato punto di vista terra-mare che è quello più diffuso nella nostra società. Nell’immediato permette un cambio di prospettiva quindi di espandere la propria percezione del mare espandendo il proprio immaginario. Al ritorno da un giro in barca, specialmente se a propulsione velica, il mare esisterà non più come sfondo balneare, non più come un muro blu che arriva all’orizzonte, tanto meno come quella cosa blu davanti a sé quando la passeggiata finisce sugli scogli alla bocca del porto canale. Esiste di per sé e in un modo che esula da ciò che si può immaginare vivendo solamente sulla terra ferma. Un giro in barca a vela però è un affare molto soggettivo, non siamo tutti uguali».
Secondo voi perché finora non è stato dato impulso a questa risorsa?
«Semplicemente perché, negli ultimi 20 anni in particolare, il turismo nautico, o se preferisce lo yachting a vela nello specifico, è stato frainteso. Questo è vero per l’Italia, il contesto sul quale ci siamo maggiormente focalizzati».
Cosa intendete per turismo rigenerativo e come avviene?
«Il turismo rigenerativo è di recente concezione ma deriva dall’applicazione di un consolidato approccio rigenerativo allo sviluppo che già da anni è praticato sia in agricoltura che nell’evoluzione dell’ambiente urbano ma che emerge oggi in risposta al pressoché fallimentare tentativo di praticare lo sviluppo sostenibile. Basandosi sulla teoria dei sistemi viventi e una visione della realtà che integra la dimensione umana (culturale) e quella naturale (ecologica), prevede essenzialmente la riconnessione delle aspirazioni ed attività umane con l’evoluzione dei sistemi naturali.
Certo, la sua applicazione è problematica se non avviene un cambiamento della mentalità che alimenta al momento la vita di terra almeno in questo angolo di mondo. Ecco che una particolare forma di turismo nautico può intervenire, se facilitata in questo senso, in questo processo di cambiamento».
Il Mediterraneo è fra le destinazioni più amate al mondo per lo yachting. In termini economici per l’Adriatico quali possono essere le conseguenze di un rinnovato rapporto con il mare?
«Le qualità storiche e geografiche del Mediterraneo sono uniche e hanno una forte attrattività. Relativamente agli effetti economici di “un ritorno al mare” invece posso dire questo. La risposta prima di tutto avrebbe bisogno di proiezioni nel futuro in grado di includere una svolta culturale a breve termine e di una relativa trasformazione fisica dell’ambiente urbano costiero. Purtroppo le svolte culturali prendono del tempo perché, nonostante siano inevitabili in un regime liberale, sono soggette a un lento processo di adattamento che porta alla perdita delle rigidità del “vecchio” per poter acquisire ed integrare la morbidezza del “nuovo”.
Le recenti statistiche sulla nautica indicano segni estremamente positivi per il comparto fin dagli anni della recente pandemia. Le tendenze sono ritornate, e hanno superato, i trend di crescita precedenti alla grande crisi economico-finanziaria del 2008. Ma sono statistiche che guardano alla nautica come un comparto unitario, come fosse una cosa unica e a sé stante».
E non è così?
«Per lo meno per il bacino Med non e’ cosi. Un’analisi approfondita della “pratica dell’andare per mare” a vela indica una frammentazione della nautica che scinde la cultura consumistica, edonistica e terrestre del “Nuovo Charterista”, dei “Camperisti del Mare” e dei “Regatanti”, dallo stile di vita, all’estremo opposto, del “Navigatore”.
Nonostante rappresentino tutti insieme già una forza sociale e politica che richiede accesso al mare (da non dimenticare che gli sforzi anche di Assonautica sono nella direzione di una ‘nautica sociale’) in realta’ solo il Navigatore sembra spingere verso la necessita’ di tornare a navigare, cioè di spendere tempo in mare per reintegrare i ritmi della natura all’interno del suo vissuto.
Ecco io credo che un ritorno alla navigazione come strumento di riconnessione al marino implichi l’acquisizione di uno stile di vita distintamente marittimo nella vita quotidiana di terra, come lo era in passato. Questo a livello locale dovrebbe portare a reintegrare gli spazi terresti legati alla marittimità all’interno delle dinamiche urbane. In Adriatico molti sono i casi in cui gli spazi legati alla marittimità sono isolati dal resto, la Marina di Rimini ne è un esempio, Marina Dorica ne e’ un altro ma non solo gli unici. L’impatto economico di questa riconnessione quindi non sarà solo da vedere in relazione a ciò che è nautica, ma al risultato si questa reintegrazione. Un cambiamento culturale veicolato da questa riconnessione porterà a rivedere il ruolo degli spazi marittimi all’interno delle dinamiche urbane diventando motore di riconnessione di questi spazi anche alla quotidianità delle comunità costiere possibilmente all’interno delle pratiche di rigenerazione urbana dove dall’apertura della collettività al marittimo fioriranno organicamente sinergie con forti impatti economici».
Nel vostro studio vi siete soffermati soprattutto su Rimini. Quale è la situazione di questa città e quali sono le prospettive?
«Rimini è un fantastico caso di turismo sostenibile. Infatti qui il turismo si è sostenuto per vari decenni. Il concepimento del nuovo parco del mare ne è la conferma. Un tentativo di avvicinare la città di Rimini al mare togliendo varie barriere architettoniche e rendendo molto attraente il fronte mare. Questo è sintomatico di un’apertura non solo al cambiamento ma alla realizzazione che la prossima fase di rigenerazione urbana cercherà di portare Rimini ancora più vicino alla cultura ed alla natura del mare. A livello immateriale il Rimini Blue Lab è nato per assistere a questo processo».
Spesso quando si parla di yacht si pensa che sia un ambito per pochi ricchi. Non rischia la vostra proposta di rimanere appannaggio solo di una piccola parte della popolazione?
«Certo. E questo è sicuramente vero per i contesto Italiano, ma molto meno per quello Spagnolo, Greco e Francese per esempio. Abbiamo infatti identificato una consolidata visione di questo settore come esclusivo, legato ad uno stile di vita lussuoso. Ma nella realtà questa visione proviene da una percezione errata della realtà. Possedere un’imbarcazione a vela e navigare non è di per sé oneroso. Lo diventa come risultato di come il settore é considerato e gestito a livello nazionale. E la domanda rimane sempre la stessa: a cosa serve, quale é la sua funzione nella realtà sociale, ecologica ed economica, se vogliamo metterla sul piano della sostenibilità. Attività nautiche come la vela o la subacquea ricreativa sono esclusive ma questo è in parte dovuto a una concezione popolare, al rapporto consolidato di separazione tra mare e società. Immaginate quanto costi al pubblico costruire un palazzetto dello sport, piscine pubbliche, velodromi, pattinodromi, uno stadio, un campo da calcio? Il mare non va costruito, ne va solo facilitato l’accesso. E noi italiani, a differenza di altre popolazioni ne abbiamo per 8000 chilometri a nostra disposizione. Per rinforzare questo punto faccio spesso il parallelo tra imbarcazione a vela ed il camper».
Uno dei vostri obiettivi è quello di influenzare le politiche pubbliche. In che modo possono fare qualcosa?
«Per quanto concerne il turismo nautico c’é la necessità di riformare il sistema attuale per allinearlo al suo vero potenziale. Certo che per farlo c’é bisogno di un obiettivo comune, una direzione precisa e condivisa dove l’elemento unificatore non può più essere solo il benessere economico ma il fiorire di un nuovo sistema socio-ecologico. La nostra ricerca é nata per questo, per evidenziare e informare questa nuova direzione».