RIMINI. C’è un ambito nel quale l’Emilia-Romagna gioca un ruolo importantissimo in Italia, quello delle cozze. Un terzo delle 60mila tonnellate prodotte a livello nazionale arrivano dalle coste tra Goro e Cattolica. Giuseppe Prioli, presidente del Consorzio Miticoltori dell’Emilia-Romagna, spinge affinché si alzi sempre più la percentuale di quelle certificate Cozza Romagnola, attualmente siamo attorno al 5-10%.
Prioli, quando ha avuto origine l’allevamento delle cozze sulle coste emiliano-romagnole?
«In passato c’era la raccolta sul banco naturale tra Cattolica e Gabicce, quella sulle piattaforme metanifere e sulle barriere artificiali realizzate davanti alcuni tratti di costa. Negli Anni Settanta c’era un allevamento a Goro. Poi dopo la sperimentazione fatta dal laboratorio di Fano, negli anni Ottanta si è partiti anche con Rimini e Bellaria e tutto il resto».
Quanti impianti ci sono adesso?
«Ci sono circa 25-26 impianti di varie dimensioni (la media è fra uno e due milioni di mq di superficie) con 23 imprese concessionarie e circa 350 addetti totali per una produzione di circa 20mila tonnellate».
Dove finisce il prodotto?
«In tutta Italia e all’estero soprattutto in Spagna e Francia dove sono apprezzati molto i prodotti dei nostri undici impianti certificati biologici».
Perché la scelta di un marchio come quello della Cozza romagnola?
«L’obiettivo è quello di valorizzare e distinguere un prodotto che ha proprie qualità sia dal punto di vista organolettico, sia nutrizionali sia rispetto alla stretta osservanza delle norme igienico-sanitarie. Attualmente solo il 5-10% del nostro prodotto, benché abbia tutte le caratteristiche previste dal disciplinare, è venduto a marchio “Cozza Romagnola”, ma siamo convinti sia importante aumentare questa percentuale».
In termini ambientali quali sono i principali problemi che dovete affrontare?
«Fermo restando che i controlli ai nostri allevamenti sono quotidiani, noi non abbiamo problemi di inquinamento dovuti agli scarichi di depurazione perché i nostri impianti non sono a ridosso della costa ma sono al largo. Il problema principale in questo momento è l’innalzamento della temperatura del mare che l’anno scorso ha provocato la perdita di una parte del prodotto».
Vi preoccupano i progetti legati all’energia che coinvolgono l’Adriatico romagnolo?
«I parchi eolici sono oltre le dodici miglia e quindi non dovrebbero crearci problemi. Anzi, forse sarà possibile il recupero di una parte di prodotto sui pali... Sul rigassificatore invece abbiamo un giudizio sospeso perché a ciclo aperto non sappiamo quali effetti potrà avere sul fitoplancton».