Cayard: "Se vince Luna Rossa, sarà positivo per tutto il movimento"

Per il bene della Coppa America e della vela, è meglio che sia Luna Rossa a vincere la sfida di Auckland. Ne è convinto Paul Cayard, indimenticato skipper e timoniere del Moro di Venezia quando nel 1992 fu la prima barca italiana a vincere la Louis Vuitton Cup, il trofeo degli sfidanti perdendo poi la finale di America’s Cup contro America Cube di Bill Koch. Cayard, 61 anni, è stato al vertice della vela mondiale per tanto tempo: sette partecipazioni alla Coppa America, due alle olimpiadi, una vittoria alla Withbread (giro del mondo in equipaggio).

Paul, cosa aveva di diverso dagli altri imprenditori Raul Gardini?

«Era un uomo molto appassionato della vela e delle sfide. Gli piacevano le cose difficili e gli piaceva creare le squadre invece di comprarle. L’incontro con Gardini è stato molto importante per la mia formazione. Ho iniziato a regatare con lui quando avevo 25 anni e a 29 mi ha chiesto di fare la Coppa America che con lui mi ha impegnato fino a quando avevo 32 anni. È stata una figura importante della mia vita».

Un rapporto non solo professionale ma anche umano.

«Sì, molto umano, direi che l’espressione è giusta. Allora c’erano delle regole di residenza da rispettare, bisognava vivere nel Paese del club sfidante. Io ho dovuto traslocare in Italia lasciando la mia famiglia, perché avevamo avuto il primo figlio tre settimane prima e mia moglie voleva restare quattro-cinque mesi in più in California. Così sono stato a Milano un po’ da solo ma durante i week-end Gardini mi portava in giro con lui. Andavamo a navigare sulle sue barche, a volte a cenare a Ravenna o a Venezia, perché sapeva che ero da solo... Lui aveva la stessa età di mio padre, visto che era nato nel ’32. Perciò si era creato un rapporto professionale, ma allo stesso tempo c’era il rapporto di un uomo con un altro uomo che aveva la stessa età dei suoi figli».

Per chi tiferai fra Luna Rossa e Team New Zealand?

«Io tifo per l’Italia perché se vince Luna Rossa, sarà positivo per la Coppa e tutto il movimento. Una Coppa America in Europa fa crescere molto l’evento, c’è un grande pubblico che può essere interessato e gli interessi commerciali saranno sicuramente superiori a un evento che si svolge in Nuova Zelanda dove gli appassionati della vela sono molti, in percentuale sulla popolazione, ma parliamo di un Paese che ha poco più di 4 milioni e mezzo di abitanti».

Il tuo tifo è solo legato a un calcolo economico, al business?

«Sì, certo, tifo anche perché sono legato in modo speciale all’Italia... Però l’unica persona che conosco bene su Luna Rossa è Francesco Bruni oltre a Spithill, ma Spithill... è meno italiano di me! Se Luna Rossa vince sarà un bene per la coppa, per lo sport, per i giovani. Queste ultime due o tre edizioni sono state poco partecipate con meno Paesi in gara. Non è come la Coppa del Mondo di calcio dove, partecipando tutti i Paesi, l’evento diventa importante».

Sei stato tante volte in Romagna, a Ravenna e a Rimini dove hai preso parte a Blu Rimini. Che ricordi conservi?

«Rimini mi è piaciuta: una cittadina di spiaggia e di vacanza. Per me, però, Ravenna, con il suo centro, era più interessante. Ma ricordo anche bene Venezia, una città unica, e poi Milano, dove ho vissuto tre anni e dove è nata mia figlia Alessandra subito dopo il varo del Moro che è avvenuto l’11 marzo del 1990».

Max Sirena è uno skipper insolito, non viene dalle classi olimpiche e non ha un passato da timoniere di fama. Come lo vedi?

«Sì, non credo che Max sia mai stato un timoniere di grande livello. Non ha vinto dei mondiali Laser o Star. Ma lui è un gestore, gestisce la squadra per conto di Patrizio Bertelli e fa bene. Questa Luna Rossa è veramente solida, su molti aspetti. Credo abbia fatto bene a non tentare di fare il velista a bordo perché sarebbe stato troppo. Abbiamo visto gli americani con Terry Hutchinson impegnato a bordo: secondo me questa decisione è stata uno dei motivi del loro fallimento, ha voluto fare troppo. Invece Max ha la sua posizione, organizza e gestisce, sceglie le persone... sembra stia facendo un buon lavoro».

Quanta possibilità dai a Luna Rossa di vincere la Coppa?

«Onestamente, dico il 25 per cento. Però non ho molte informazioni... tutti dicono che i neozelandesi sono molto, molto veloci quando il foiling è sicuro, diciamo sopra i 10-11 nodi. Sotto i 10 nodi, se le barche hanno difficoltà coi foiling, magari nella partenza, può essere una condizione nella quale Luna Rossa ha molte possibilità. Se troviamo le condizioni nelle quali Luna Rossa è alla pari in velocità con New Zealand, allora do il 75% a Luna Rossa di vincere, perché Spithill e Bruni sono più forti di Burling, soprattutto nella partenza e in tutti i momenti tattici e strategici».

In altre occasioni hai avuto modo di dire che le regate senza spinnaker e senza il “dramma” non hanno lo stesso fascino. Perché?

«Io credo che il “dramma” dia più fascino alle regate. Quando ho fatto la Louis Vuitton contro Luna Rossa nel 2000, anche perdendo 5-4, quelle regate avevamo per tutta la durata (un’ora e mezza, un’ora e 45’, ndr) una tensione alta che catturava gli spettatori e i tifosi. Spesso per 4-5 volte ci scambiavamo la testa, ma c’era chi perdeva lo spinnaker... io ho rotto anche l’albero un giorno. E poi si vedeva di più il timoniere, il prodiere, chi faceva il grinder, si vedeva l’importanza di chi issava lo spi alle drizze. La parte umana era più in evidenza».

Hai iniziato ad andare a vela quando eri piccolo perché un tuo amico di 8 anni ti ha fatto conoscere questo mondo. Oggi dai una mano nel rilanciare la vela negli Usa. Paul, perché la vela?

«In questo periodo sto assumendo la responsabilità di essere il capo della squadra olimpica degli Usa. A 8 anni amavo l’autonomia che mi dava la vela, mi piaceva andare in barca e decidere quando virare e quando tornare al pontile. Poi c’è l’elemento avventuroso: le onde, l’acqua in faccia... se si scuffiava, la prima volta era spaventoso e dopo diventava divertente e avventuroso. Io ho giocato a basket fino a 18 anni e praticato altri sport, ma la vela era diversa, per il senso di avventura che ti dà».

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