Wbo, quando i lavoratori salvano l’azienda e diventano imprenditori

Dal 2011 ad oggi ben dieci imprese romagnole sono state risollevate grazie all’intervento diretto dei lavoratori. Alcune erano sull’orlo della crisi, altre erano già state dichiarate completamente fallite, ma in comune avevano tutte la stessa peculiarità: la presenza di un personale che non si è dato per vinto, scegliendo di rimboccarsi le maniche e fare un “salto nel buio”, passando da semplici dipendenti a imprenditori personalmente impegnati nel capitale di rischio. Il termine tecnico è wbo – workers buyout – e sta ad indicare un’azione di salvataggio dell’azienda, o di una sua parte, realizzata dai dipendenti che subentrano nella proprietà. A renderle possibili, dal 27 febbraio del 1985, data nella quale venne promulgata, è la Legge Marcora voluta dall’allora ministro dell’industria Giovanni “Albertino” Marcora, ex comandante partigiano. La norma, introdotta allo scopo di fronteggiare la crisi occupazione di inizio anni Ottanta, nel tempo è stata modificata e “aggiustata”, ma ha comunque sempre mantenuto il suo obiettivo originario, ossia garantire il sostegno dello Stato ai lavoratori di società in crisi che, costituendo tra loro una società cooperativa, si propongono l’acquisto della società stessa, o di una porzione di essa, per garantirne il rilancio.
I lavoratori, in buona sostanza, investono le loro risorse – dall’anticipo della mobilità Naspi al conferimento del Tfr – e, sostenuti da Cooperazione finanza impresa (Cfi), possono utilizzare i fondi messi a disposizione della Marcora per assumersi la responsabilità della gestione dell’azienda. «Nel periodo dal 2011 al 2021 – come spiegano dalla società finanziaria – Cfi ha deliberato 146 interventi a supporto di 88 progetti di wbo che sviluppano un valore della produzione superiore a 365 milioni di euro ed impiegano 2.286 addetti». Dieci di queste, come si diceva prima, sono appunto Romagnole.
Focus regionale
Forte di uno spirito cooperativo che è culturalmente presente nelle viscere di questa terra, nell’ultimo decennio la Romagna ha accolto il suo primo progetto wbo di successo nel 2013 con la Raviplast di Ravenna, nata dalle ceneri della Pansac. Specializzata nella produzione di imballaggi plastici, otto anni fa l’impresa era in amministrazione straordinaria e i suoi lavoratori erano solo in attesa di ricevere le lettere con l’annuncio della chiusura definitiva. È stato in quel momento, grazie anche all’impegno diretto dell’allora assessore comunale alle attività produttive Massimo Cameliani, che i dipendenti hanno deciso di provare a intraprendere la strada del workers buyout e, mattone su mattone, hanno costruito la Raviplast, che adesso conta su 300 clienti circa, un fatturato del 35% più alto rispetto al 2013 e 25 soci.L’anno dopo, nel 2014, la stessa strada è stata intrapresa dalla tipografia e casa editrice ravennate Edizioni Moderna, mentre nel 2015 la medesima opportunità è stata al centro della ripartenza della forlivese Soles Tech. Sono seguite la Clas di Bagno di Romagna, nel 2016, specializzatasi in recupero del territorio montano, forestazione, manutenzione del verde, energia rinnovabile, e poi nel 2018 è arrivata la Nuova Butos di Forlimpopoli, produttrice di bustine di zucchero personalizzate, i cui lavoratori sono riusciti a rilanciare i volumi grazie anche alla partnership strategica stretta con Coprob, unico big player nella produzione di zucchero in Italia con un fatturato di oltre 200 milioni di euro.