Volley, il vice azzurro Giolito: "La nostra marcia fino all'oro"

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Dalla Serbia alla Polonia. Prima le donne, poi gli uomini. Cambiano scenari e nazionali, non il risultato: l’Italia è sempre campione. Domenica sera, sul podio di Katowice, a festeggiare e a cantare l’Inno di Mameli c’era anche un po’ di Rimini. Nicola Giolito, fresco 45enne, di questa nazionale non è solo l’assistente di Fefè De Giorgi, ma anche il preparatore atletico. E se gli azzurri sono arrivati al tie break della finalissima con tanta benzina nel serbatoio, il merito è soprattutto suo.

Nicola Giolito, allora, com’è svegliarsi da campioni d’Europa?

«È una sensazione bellissima, difficile da poter descrivere a parole. Ancora fatico a crederci perché è del tutto insperata. All’inizio dell’Europeo nessuno ci dava un euro, neppure io. Invece De Giorgi, lo staff e soprattutto i ragazzi, sono stati fantastici perché hanno lavorato duro senza mai lamentarsi e mai risparmiarsi. Hanno assorbito come delle spugne tutti i consigli che venivano dati anche perché questa nazionale era un libro bianco: per tanti ragazzi era la prima competizione internazionale e quindi si sono fatti guidare e questo è il risultato».

Come è iniziata una carriera lunga alle spalle e già piena di successi?

«Come tutti i bambini mi piaceva giocare a calcio, me la cavavo. Poi in seconda media provai la pallavolo e non ho più smesso. Ho iniziato nel settore giovanile del Viserba, facevo lo schiacciatore. Ma non crescevo in altezza e mi sono reinventato alzatore. Ho giocato in B1 a Viserba, Morciano e Bellaria. Poi mi sono infortunato al ginocchio e dopo la terza operazione il sogno era finito. Ma non volevo lasciare quel mondo. Così mi sono laureato in Fisioterapia e ho studiato per diventare allenatore. La mia prima esperienza è stata con la Rimini Pallavolo in C, poi nel 2003 ecco la svolta della mia carriera: sono stato chiamato dal Vicenza femminile in serie A come preparatore atletico. Da lì sono andato a Chieri e nel 2006-‘07, a Montichiari in A1 maschile. L’allenatore era Julio Velasco e lì è successa una cosa incredibile».

Ce la spiega?

«Il nostro palleggiatore si infortunò seriamente e la società si mise a cercare un altro palleggiatore. Un giorno Velasco arriva in palestra e dice: “abbiamo già un palleggiatore in casa”. Si riferiva a me e così mi tesserarono anche come giocatore. Un’altra grande esperienza. Poi Angelo Frigoni, assistente di Velasco, mi chiese se volessi andare con lui in Russia, all’Ural Ufa, sempre nel doppio ruolo, assistente e preparatore. Da lì è iniziato il mio viaggio: dal 2009 al 2012 sono stato a Novosibirsk, poi al Novy Urengoy. Dal 2013 al 2017 sono stato assistente nella nazionale finlandese. Nel frattempo, nel 2014 mi ha chiamato Lorenzo Bernardi all’Halkbank di Ankara, in Turchia. Poi ancora Russia, Polonia fino a settembre 2019 quando sono rientrato a Civitanova con De Giorgi».

E la nazionale italiana?

«Quando Fefè mi ha chiesto di seguirlo, ho avuto un brivido perché la nazionale del tuo paese è qualcosa di speciale. Le responsabilità raddoppiano e il peso rischia di schiacciarti. Invece da subito abbiamo trovato un gruppo fantastico. Sono ragazzi eccezionali e sono soprattutto giovani con tanti margini di miglioramento. Oltre all’oro sono stati capaci di trascinare un intero movimento».

Precisamente?

«Domenica sera parlavamo a cena con il presidente federale e ci diceva che molte società lo hanno contattato per dirgli che gli iscritti sono aumentati tantissimo. Per tutto il movimento questo è un ottimo segnale».

Quando tornerà a Rimini?

«Non presto. Forse a Natale. Perché adesso sarò impegnato nel campionato polacco».

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