Viserba si sente trascurata e chiede servizi e tutele

Nei primi anni del Novecento i viserbesi si sentono abbandonati a sé stessi. Tra le necessità maggiormente avvertite c’è la Delegazione di Stato Civile, ovvero una istituzione che tuteli sul territorio sia gli interessi individuali che quelli comunitari. Il Municipio si oppone a tale esigenza adducendo ragioni prettamente economiche. A dare man forte alla borgata su questa richiesta ci prova Il Momento. Il primo giugno 1911 il settimanale radicale propone una soluzione non “onerosa”. La persona preposta a reggere la Delegazione dello Stato Civile – enuncia il foglio – dovrebbe svolgere la mansione alla stregua di una carica onorifica e senza percepire un centesimo. L’incarico è talmente prestigioso – a parere de Il Momento –, che dovrebbe essere dato «ad un uomo intelligente, attivo e coscienzioso, curante gli interessi degli abitanti e di quelli dell’Amministrazione, perché il patrimonio del Comune è di tutti». Parole nobili, ma ingenue, dato che nessun «uomo intelligente, attivo e coscienzioso», ribattono altri periodici, avvertirà l’incentivo di svolgere gratuitamente una mansione così impegnativa e gravosa.

Nel maggio del 1913, dopo un’ulteriore petizione avanzata dal “Comitato Pro Viserba”, qualcosa comincia a muoversi sulla complicata faccenda della Delegazione di Stato Civile. Ad accendere la speranza è ancora Il Momento. In un trafiletto di cronaca cittadina il giornale dà per certa la nascita di questo Ufficio e sulla foga della eccezionale notizia riformula le stesse considerazioni auspicate due anni prima: che l’Amministrazione «provveda a nominare Delegato una persona intelligente, disinteressata e che curi coscienziosamente l’interesse della frazione e del Municipio». Il comunicato de Il Momento si rivela una panzana ed è prontamente smentito dalla stessa testata il 29 maggio: «La mancata installazione della Delegazione, tante volte promessa, ha messo un po’ di malumore fra questa buona popolazione. Perché negare a Viserba quanto ad altre frazioni di minor importanza si è da tempo concesso?».

A questo punto i viserbesi, delusi dalle aspettative non corrisposte, inoltrano al Municipio l’ennesima domanda. La replica del Commissario Prefettizio Michele Varriale, che regge l’Amministrazione riminese in seguito alle dimissioni della Giunta, è ancora una volta negativa: troppo piccola la borgata per una simile struttura.

Sulla “borgata troppo piccola”, il 26 giugno 1913 interviene ancora Il Momento: «Non sono i soli abitanti che si lamentano della mancanza della Delegazione Comunale, ma anche i forestieri. Infatti è una vergogna che ad un centro importante come Viserba manchi chi rappresenta l’autorità tutoria». A questa considerazione il Regio Commissario contrappone il solito refrain: «non è possibile provvedere per ragioni di economia». Una tiritera che i viserbesi, convinti di avere tutte le carte in regola per ambire alla Delegazione, non accettano e iniziano a tampinare il Regio Commissario a tal punto da indurlo a cedere. E, finalmente, nel luglio del 1913 il Comune di Rimini istituisce a Viserba la Delegazione di Stato Civile con decorrenza dal primo gennaio 1914. «Speriamo – commenta il Corriere Riminese il 30 luglio 1913 – che la persona da incaricarsi di questo mandato sia scelta, fra chi può dare affidamento di serietà ed imparzialità e sia in grado di occuparsi con amore ed attività del nuovo importante ufficio e degli interessi della borgata».

In attesa di trovare «l’uomo giusto, serio e imparziale», si procede alla nomina del suo segretario nella persona di Giuseppe Urbinati, ricevitore postale. «Una scelta felice», a detta di molti, anche se orientata su di un impiegato già oberato di lavoro (Il Momento, 7 agosto 1913). Con l’arrivo del nuovo anno l’investitura di Delegato di Stato Civile di Viserba è conferita a Giuseppe Dossi, proprietario della nota Corderia Meccanica, persona onesta e benvoluta. Una scelta azzeccata. Che ha il plauso dell’intera comunità.

Tutto a posto? Tutti contenti? Assolutamente no! Le cose, fin dall’inizio, non marciano con il giusto passo. «Le operazioni di questo Ufficio – denuncia Il Momento il 9 aprile 1914 – non procedono con esemplare speditezza, non per colpa di chi disimpegna le funzioni di segretario e nemmeno per mancanza di buona volontà della persona delegata dal Municipio, ma per le forzate sue assenze occasionate dalla direzione del suo importante stabilimento industriale. Anzi, secondo le voci che corrono, il detto rappresentante comunale avrebbe esternato il desiderio di essere sostituito perché non può accudire come dovrebbe e vorrebbe all’incarico affidatogli». Siamo in piena crisi economica, la filanda rischia la chiusura e Dossi, per curare i propri interessi, è costretto a trascurare quelli della Delegazione.

La gente mugugna e fa voti affinché il Consiglio Comunale accolga «i desideri espressi della popolazione per la nomina di un altro candidato» (Il Momento, 27 agosto 1914). Nel gennaio del 1915 Dossi si dimette dall’incarico. «Le sue occupazioni – riporta l’atto di esonero – non gli permettono di dedicarsi come vorrebbe al disimpegno della carica» (Il Momento, 23 gennaio 1915).

La Delegazione, senza il titolare, si trascina per mesi; poi, nella impossibilità di reperire un sostituto, l’onere è affidato a Giuseppe Urbinati, vale a dire allo stesso segretario di tale ufficio, già gravato del faticoso lavoro di direttore della “ricevitoria postale”. Insomma, dalla padella alla brace.

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