Vie dell'amicizia del Ravenna festival tra Ravenna, Jerash e Pompei

La “reunion” con il pubblico di Ravenna festival, quello più affettuoso ed entusiasta, quello affollato e “popolare” del Pala de André, è già iniziata qualche giorno fa, con l’apparizione fugace sul podio della straordinaria Banda dell’Arma dei Carabinieri. Ma questa sera (alle 21) il palcoscenico è tutto per lui, Riccardo Muti, che torna a dirigere qui la prima tappa di un nuovo tracciato delle Vie dell’amicizia. Da oltre un quarto di secolo, concerto “rituale” del cartellone del festival – solo lo scorso anno non si è tenuto a Ravenna – a ogni edizione attraversa i temi e le suggestioni che il programma offre declinandoli nel segno dell’attualità più stringente e spesso dolorosa. Così è stato fin dall’inizio, nel 1997, con l’avventuroso viaggio del maestro Muti e l’Orchestra della Scala oltre l’Adriatico, fino a Sarajevo ancora fumante di bombe e mortai. Così è stato per il concerto a Ground Zero, nella New York post-11 settembre. Oppure per l’Emilia colpita dal terremoto, nella piazza semicrollata di Mirandola. L’elenco è lungo… E che dire del viaggio a Kiev – senza dimenticare che molti anni prima il ponte di fratellanza era stato gettato anche a Mosca – di pochi anni fa, nel 2018, quando l’odore di guerra già cominciava a farsi sentire?

La crudezza della realtà irrompe anche nel progetto che quest’anno vede Riccardo Muti alla testa dei giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini misurarsi con un concerto “triplo”: dopo Ravenna (il cui compenso, a proposito di attualità, il maestro devolverà all’alluvionato Museo Zauli di Faenza), i teatri romani di Jerash in Giordania eppoi di Pompei. Mete ufficiali cui si aggiungerà il vero “cuore” del viaggio: il Campo profughi Unhcr di Za’atari. Vera e propria “città invisibile” – è il tema dell’intero festival – al confine con la Siria, allestita undici anni fa per ospitare i primi rifugiati siriani che scappavano dalla guerra e attualmente abitata da oltre ottantamila persone, che nonostante la generosità del governo e del popolo giordani, vivono in una situazione di precarietà. Anche lì arriverà Ravenna festival.

Ma il segno del messaggio di speranza e dell’incontro tra popoli e culture diversi, uniti nell’universalità del linguaggio musicale, è nel programma del concerto stesso, che debutta, come si è detto a Ravenna, per poi risuonare negli antichi teatri romani di città anch’esse per secoli “invisibili”, come Jerash, sepolta dalla sabbia per oltre un millennio, e Pompei nascosta dalla cenere del Vesuvio per quasi due. Dunque, sotto la direzione di Muti, alla Cherubini, arricchita di diversi elementi dell’Orchestra del Conservatorio Nazionale di Amman, si unirà il Coro Cremona Antiqua, preparato da Antonio Greco, nonché le voci del controtenore Filippo Mineccia e del soprano Monica Conesa, per interpretare quel capolavoro che è il secondo atto di “Orfeo ed Euridice” di Gluck, poi la celeberrima aria “Casta diva” dalla “Norma” di Vincenzo Bellini e, infine, la meditazione sul destino dell’uomo costituita dallo “Schicksalslied” op. 54 che Johannes Brahms modellò su versi di Hölderlin (già in programma nello storico primo concerto dell’Amicizia a Sarajevo).

Poi, negli “intermezzi” tra i brani in programma, saliranno in palcoscenico due cantanti siriani, Ady Naber e Mirna Kassis, e due giordani, Zain Awad e François Razek-Bitar, figure popolarissime nei rispettivi paesi, e molto attivi anche in Europa, dove risiedono, che insieme al virtuoso di oud Saleh Katbeh e al percussionista Elias Aboud, intoneranno alcune canzoni saldamente ancorate alla tradizione della loro terra. L’abbraccio, come sempre, comincia dalla musica.

Info: 0544 249244 oppure www.ravennafestival.org

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