Usine Baug al teatro Dimora di Mondaino con "Topi"

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Sono stati in residenza all’Arboreto e stasera, ore 21 al Teatro Dimora, presentano la prova aperta di “Topi” il loro nuovo spettacolo, vincitore del Premio Scenario Periferie. Si chiamano Usine Baug e sono nati nel 2018 dopo aver studiato a Parigi e Bruxelles e seguendo il processo artistico basato sull’improvvisazione e sulla creazione collettiva, che li ha avvicinati e ne ha fatto emergere le affinità.

Ora, reduci dal Premio, sono pronti per il debutto che sarà a Milano il 10 e 11 gennaio. Con la finissima drammaturgia di “Topi”, che è nel contempo uno straordinario dispositivo di memoria, tornano alla Genova marinara dall’odore di basilico e lacrimogeni di 20 anni fa, a quel G8 macchiato di sangue, falsità e ingiustizie. Mentre due narratori raccontano i fatti attraverso testimonianze orali, registrazioni e ricostruzioni audio l’attenzione si sposta su un’altra figura che ha a che fare coi topi. Ne abbiamo parlato con tutta la compagnia, Ermanno Pingitore, Stefano Rocco e Claudia Russo, Emanuele Cavalcanti e ciascuno, proprio come accade nella fase creativa dei loro lavori, ha dato il suo contributo.

Partiamo dal titolo, perché “Topi”?

«È stato lo spunto, poi è emerso il parallelismo. Avevamo in testa il G8 ma non ci era chiara la drammaturgia, nel mentre Stefano ha scoperto di avere i topi in casa. Da lì sono nate due piste narrative con due servi di scena che raccontano gli accadimenti e il personaggio fittizio di Sandro Canepa che deve affrontare gli intrusi. E la caccia al topo diventa la metafora dei fatti accaduti con i comportamenti delle istituzioni e della polizia che si ha l’impressione siano stati analoghi».

Cosa accade sul palco?

«Si crea un gioco di metafore dove il fittizio e il reale si incontrano per ri-raccontare quei fatti, camminando paralleli sono uno il riflesso dell’altro. L’aderenza storica si intreccia all’invenzione scenica per narrare alla nostra maniera questa grave ferita della recente storia italiana”.

Come avete reso la diversità dei due piani narrativi?

«I due piani si contrappongono anche per il tipo di linguaggio: da un lato il fluire della parola per ricostruire memorie e punti di vista, dall’altro il silenzio dell’azione che apre a letture personali».

Perché avete portato in scena quei fatti? Vi interessano i temi sociali e politici?

«Non facciamo spettacoli militanti però ci interessa affrontare temi importanti, dove l’elemento politico c’è. In questo caso volevamo offrire una riflessione più ampia di quella veicolata dai media».

La vostra lettura fa emergere un messaggio?

«Presentiamo prospettive diverse e complementari per rendere la complessità di quei giorni e aprire delle crepe nell’immaginario collettivo lasciando libere le interpretazioni da parte del pubblico. Certo il nostro pensiero emerge ma non è diretto».

Vi siete dati un nome originale, come nasce?

«La prima volta che abbiamo partecipato al Premio Scenario nel 2018 dovevamo darci un nome. Avevamo appena creato uno spettacolo sul tema delle frontiere, dopo aver soggiornato a Clavier, per vedere da vicino quella rotta migratoria. Lì parlano l’occitano e noi volevamo portarci dietro un po’ di quell’esperienza. Baug è lo scemo del villaggio, abbiamo aggiunto usine, che in francese è fabbrica, ed ecco il nome».

I vostri spettacoli sono frutto di una creazione collettiva, non vi pesa?

«Lavorare così è più complesso e il processo creativo più lungo ma condensare diversi immaginari artistici e arrivare a una coscienza collettiva dà grandi soddisfazioni. Quel che ne esce è contaminato da tanti punti di vista, è colorato dai diversi modi di esprimersi, è modellato da più intuizioni: è nostro, non è più mio o tuo. E in “Topi” c’è anche il contributo di Arcangela Barlotta».

Info: teatrodimora@arboreto.org

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