Una cronaca lunga 30 anni

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Chi mi conosce sa che non ho mai amato troppo gli editoriali. Perché più delle opinioni credo sia necessario far prevalere la narrazione dei fatti, per non condizionare chi legge e al contempo permettere a ognuno di farsi la propria idea su eventi, situazioni e circostanze. Sarà un’immagine romantica del mestiere, a qualcuno potrà apparire anacronistica, ma ancor più in una società che cerca di orientare i pensieri e influenzare il giudizio delle persone, spesso senza che queste se ne rendano conto, resto convinto che il ruolo del giornalista sia quello di descrivere gli avvenimenti in modo neutro, scevro da opinioni e orientamenti personali. Il che non significa non avere un’identità. Rappresenta all’opposto la massima forma di rispetto per i lettori. Sarà il nostro lavoro, quello di ogni giorno, a spiegare chi siamo, a far capire che sguardo abbiamo sul mondo, a mostrare la nostra autorevolezza. Come accade da 30 anni, traguardo che proprio quest’anno il giornale celebra. Raccolgo un’eredità importante e cercherò di trarre il meglio dall’esperienza di chi mi ha preceduto e dal confronto con i colleghi. Il Corriere Romagna, per usare un paragone sportivo, è la società in cui ho sempre giocato, dalle giovanili alla prima squadra. Avverto un forte senso di appartenenza e rispetto per un quotidiano che ha saputo raccontare e racconta da decenni un territorio e una comunità tanto ampia e variegata in modo trasparente, esaltando i suoi pregi senza nasconderne i difetti, evidenziandone le eccellenze senza chiudere gli occhi davanti alle lacune, celebrandone i successi senza tralasciare le difficoltà. Di fronte alle incognite di questa nuova e stimolante sfida, parto dalla consapevolezza di poter contare sulla professionalità dei colleghi che hanno scritto la storia del nostro giornale. Perché se il giornalismo può avere un futuro, è solo partendo dal locale. Che può essere grande. Come la Romagna.

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