Un nuovo film e l'amore per la Romagna: parla Riccardo Scamarcio

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«Una storia d’amore difficile in tempi difficili». Così il regista Giuseppe Piccioni definisce L’ombra del giorno, di cui è anche autore del soggetto e firma la sceneggiatura insieme a Gualtiero Rosella e Annick Emdin. Ieri sera l’anteprima nella sua Ascoli, dove il film è ambientato. Oggi al via il tour nelle città. E tocca subito, dopo Bologna, a Rimini (ore 18, Le Befane), alla presenza oltre che del regista degli interpreti Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli (spoiler: qui di seguito non si parlerà del gossip sulla neo coppia).

Ne L’ombra del giorno la grande storia si incrocia con la storia di Luciano e di Anna, una ragazza che porta con sé un segreto e che si infila nella vita del protagonista maschile come una scheggia, un dardo che apre al sentimento più grande e potente, l’amore. Siamo ad Ascoli, nel 1938. Luciano è un simpatizzante del fascismo come la stragrande maggioranza degli italiani. È proprietario di un ristorante, e crede di poter vivere secondo le regole che si è dato, in una sorta di isolamento dal mondo esterno.

«La storia lascia intravedere qualcosa che ha a che fare anche con le problematiche dei nostri giorni – avverte il regista –. Ci sono, non premeditati, dei punti di contatto tra il clima che si crea nella nostra storia e la pandemia che tutti abbiamo vissuto, e ancora di più con il clima di questi giorni con questi strani venti di guerra».

Per Riccardo Scamarcio, protagonista e produttore, il ruolo di un personaggio «d’altri tempi, un uomo che soffre in silenzio, che non si concede neppure la possibilità di lamentarsi. Un uomo chiuso» spiega l’attore, raggiunto al telefono mentre con il regista attraversa in auto l’Abruzzo per raggiungere Ascoli.

Scamarcio, questa interpretazione arriva dopo la partecipazione a un film duro come “La scuola cattolica” di Stefano Mordini ma anche dopo un personaggio complesso come quello di Lucio in “Tre piani” di Nanni Moretti: in questo caso un uomo messo in crisi da un’ossessione legata a una ipotesi di violenza. Anche Luciano è un uomo che entra in crisi. Ci sono affinità?

«Sono personaggi molto diversi, del resto anche i due film sono agli antipodi. Luciano è un reduce di guerra, decorato al valore, gestisce il suo ristorante con grande zelo e attenzione. Un uomo tutto d’un pezzo».

Cosa l’ha convinta di più di questo progetto, di cui è anche produttore?

«Penso ci sia bisogno di fare dei film che riescano a trasferirci la possibilità di empatizzare con il dolore, con l’amore, con le dinamiche fondamentali di un essere umano. Questo film ha proprio quella alchimia magica che rimette l’umanità al centro delle storie che raccontiamo. Intendiamoci, io sono contrario a una responsabilità per così dire sociale del cinema, ma se proprio devo trovare un elemento che il buon cinema deve avere, è la capacità di scaldare i cuori delle persone e questo film devo dire ce l’ha».

Però il cinema, soprattutto quello in sala, sta vivendo in questi mesi grosse difficoltà.

«È vero, ma la gente sento che si sta riavvicinando, vediamo in questi giorni risultati interessanti. C’è bisogno di vedere buoni film, questo è il punto. Siamo in un momento in cui si sta producendo tantissimo, tra serie e piattaforme, però spesso a discapito della qualità. Io penso che anche le piattaforme per esistere abbiano bisogno di prodotti di qualità. C’è bisogno di bei film, se c’è un bel film traina anche gli altri».

Quali sono i “bei film” di Riccardo Scamarcio?

«Visto che saremo a Rimini, non possono non citare Fellini: è un riferimento assoluto. Ma per me un regista importante è ad esempio anche Bertolucci».

Anche lui un regista emiliano-romagnolo...

«Io adoro la Romagna e in generale l’intera Emilia-Romagna. Sono numerosi i miei riferimenti: oltre a Fellini e Bertolucci, anche Lucio Dalla, Pasolini, Stefano Bonaga, Vasco Rossi, Tonino Guerra. Figure fondamentali e tutte con un pizzico di unicità, sempre comunque degli intellettuali del ’900 che sono come delle pietre miliari che non esistono da nessun altra parte. Che hanno saputo rappresentare l’uomo, i suoi paradossi, nella sua unicità e libertà. Per me è la terra più emancipata del mondo l’Emilia-Romagna»

L’ha frequentata?

«Come no? Per la mia prima vacanza, a 13 anni, sono partito col treno con gli amici e sono venuto a Rimini. Abbiamo fatto tutto: Cocoricò, Pascià, Aquafan. Poi faccio parte anche io dell’Adriatico (è originario di Trani, ndr), era quasi un’abitudine venire a fare il weekend a Riccione».

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