Tour romagnolo per Elio e "Il Grigio" di Gaber: l'intervista

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«Straordinariamente attuale, eppure è stato scritto nel 1988 e questa è una delle ragioni che mi hanno convinto a interpretarlo».
Lo spettacolo è “Il Grigio”, in scena al teatro Nuovo di San Marino domenica 17 alle 21, protagonista Elio, già frontman delle Storie Tese. Il testo è di Giorgio Gaber e Alessandro Luporini, l’adattamento e la regia sono di Giorgio Gallione, la produzione del Teatro Nazionale di Genova, con arrangiamenti musicali di Paolo Silvestri, scene e costumi di Guido Fiorato, luci di Aldo Mantovani.
Elio veste i panni di un signore che decide di cambiare casa e la sceglie in campagna perché è alla ricerca di tranquillità e soprattutto serenità interiore. «Casa nuova vita nuova» recita il copione: in realtà scopre quasi subito che non è così. La sua ambita solitudine è disturbata da più elementi. Tra questi un vicino strabordante che gli impone la volgarità dilagante veicolata dalla tv, e soprattutto un fantomatico topo. È questo “il Grigio”, l’elemento scatenante di incubi, proiezione di quelli che lo attanagliano da dentro.
Elio, come si trova in questo ruolo in cui è attore a tutti gli effetti (anche se non mancano brani cantati)?
«Nel ruolo di attore sono abbastanza collaudato, ho avuto un numero di esperienze limitate ma tutte di alto livello. Non avevo però mai fatto un monologo e anche questa è una delle ragioni per cui ho accettato dopo tra anni di assedio da parte di Gallione. Affrontare un monologo era una sfida e volevo vedere se ero in grado».
Perché ha atteso tre anni?
«Avevo già felicemente collaborato con Gallione nel musical “Gli Addams”, e quando mi ha chiamato per propormi “Il Grigio” ho pensato fosse impazzito. Rifare Gaber, figuriamoci! Ma Gallione, convinto da sempre che lo spettacolo fosse nelle mie corde, è riuscito ad abbattere le mie resistenze. Poi Gaber mi ha catturato».
Quali sono state le altre ragioni che l’hanno spinta ad accettare?
«La bellezza del testo e la sua attualità. Sembra parlare di quello che sta accadendo oggi. I temi affrontati, la denuncia che fa Gaber con quella sua profetica incisività e capacità di porre delle sfide! È un mostro sacro, non mi ci ero confrontato prima, nonostante consideri la sua produzione meravigliosa e intelligente. E il fatto che per me fosse quasi tutto nuovo è stato un bene: ho potuto entrare nel suo mondo sentendomi libero, senza preconcetti».
È incredibile la preveggenza che vi è contenuta.
«Ho deciso di accettare l’invito di Gallione proprio perché ho colto le similitudini col mio mondo interiore, esprime il mio pensiero e con parole migliori di quelle che avrei potuto trovare io».
E come viene accolto il lavoro?
«A Milano mi è venuto a vedere Luporini e ha dato la sua approvazione, aveva qualche dubbio ma subito superato. Mi ha detto che ne apprezza il flusso narrativo e io ne sono lieto. Il pubblico lo ha accolto alla grande, chi ama Gaber e gli è affezionato apprezza, non li deludo, e io ne sono più che contento, sono soddisfatto di me. Chi è più giovane, chi non conosce Gaber e magari viene per curiosità, ne resta colpito, che volere di più?».
Il copione parla di diversi personaggi: il figlio, la moglie, l’amante, il vicino di casa, il topo, ma ci sono in scena?
«No, sono tutti raccontati, ci sono solo io e mi fanno fare anche il topo!».
Non manca la musica, che è il filo conduttore della sua vita artistica.
«La musica è un aspetto interessante dello spettacolo ed è uno degli altri motivi che mi hanno fatto dire di sì. Ci ho messo del mio, ho imposto di inserire dieci canzoni di Gaber selezionate con criterio affinché punteggino bene il testo e la storia narrata. Non sono state scritte per “Il Grigio”, per questo andavano ben scelte. I riarrangiamenti per 4 pianoforti sono di Silvestri che ha fatto un ottimo lavoro».
Ma la musica è dal vivo?
«No, per ora no ma non escludiamo un giorno…».
La scenografia assai ricca non è realistica, ma dà l’idea di una situazione precaria.
«Certo, lui ha appena traslocato, è ancora tutto da sistemare e nonostante questo arrivano le sorprese».
E arriva il topo, ma è vero o immaginario?
«Non si capisce, sembra l’uno e l’altro, in realtà rappresenta i mostri che abbiamo dentro, che tutti noi abbiamo nel profondo. Una sorta di fantasma che aiuta a compiere un percorso di accettazione di ciò che è diverso da noi».
Quindi alla fine c’è un messaggio di speranza?
«Sì, c’è. Anche sotto questo aspetto trovo bellissimo ciò che è stato scritto. Non è un lieto fine, è qualcosa di molto più realistico, è la consapevolezza di come siamo fatti, è l’accettazione della nostra parte oscura».
Dopo San Marino lo spettacolo sarà il 18 a Bagnacavallo, il 20 a Faenza, il 3 a Forlì, in un mini tour romagnolo.
«Amo moltissimo la Romagna, per la mia esperienza è una terra meravigliosa come civiltà, educazione,
accoglienza, con molta confidenza con la cultura teatrale, io ci starei fisso. D’estate coi due bimbi vengo a Igea Marina dove sono di casa».
Ora è in scena come attore ma la musica c’è sempre nella sua vita?
«Deve esserci, è la mia prima passione e anche l’ultima!».

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