Tenuta del Paguro, vini nelle profondità dell'Adriatico

Archivio

Esiste un legame atavico fra il vino e il mare. Spesso le migliori vigne fruttificano oggi su terreni che in altre ere geologiche furono fondali marini, la vite è intimamente legata al Mediterraneo, Greci e Romani avevano fatto del vino loro bevanda sacra, nel tempo l’archeologia ha riportato alla luce otri e anfore contenenti antichi nettari rimasti per secoli nelle profondità marine. Ma c’è dell’altro, e per questo occorre catapultarsi nel presente e affidarsi alla scienza per parlare di “cantinamento subacqueo”. È quello che ha fatto, fra i pochissimi in Italia, e pochi di più al mondo, a partire dal 2009, il ravennate Gianluca Grilli. Fisico di formazione, titolare di una azienda informatica col pallino dei progetti creativi, racconta di avere avuto l’illuminazione un giorno a pranzo con Tonino Guerra che gli parlava della piattaforma del Paguro. La sua sagoma da astronave non è più fra quelle che punteggiano la skyline adriatica oggi, serviva anch’essa per estrarre metano, ma un intoppo nell’autunno del 1965, scatenò uno scoppio e la piattaforma crollò inabissandosi creando sotto di sé un cratere. Il pozzo estrattivo fu spento, la natura creò una sorta di barriera corallina intorno al relitto inabissato a decine di metri di profondità. Lì Grilli decise che avrebbe calato le sue bottiglie di vino e battezzò Tenuta del Paguro la sua singolare cantina.

La produzione in collina

Dopo le prime sperimentazioni, avviato un prolifico rapporto con la società ligure Jamin di Emanuele Kottakhs, che a sua volta con la medesima tecnologia inabissa a Portofino pregiate bottiglie di Champagne, Grilli ha cominciato a calare il proprio vino. O meglio le bottiglie prodotte dall’enologo Stefano Gardi, terzo socio dell’impresa, che da alcune vigne particolari della Tenuta Nasano, sui colli di Riolo Terme, ricava una selezione di uve, vinificate accentuando le macerazioni sulle bucce e con brevi passaggi in legni dalle lievi tostature, per le circa cinquemila bottiglie di Albana, Sangiovese, Cabernet e Merlot che iniziano sulla terra il loro cammino e affinano fluttuando almeno 12 mesi nelle profondità dell’Adriatico. Passando così da 330 metri sul livello del mare a meno 30.

I vini

Ogni vino porta il nome di un crostaceo: Squilla Mantis per l’Albana, Pagurus per il Sangiovese, Nephrops per il Cabernet, Homarus per il Merlot. Le bottiglie delle annate 2016, ricamate dalle concrezioni di molluschi e stelle marine, sono state aperte dopo la loro riemersione in una rara degustazione nella sede della Tenuta del Paguro in via Belfiore a Ravenna qualche sera fa. Ma, suggestioni e racconto a parte, cosa fa il mare a questi vini? Certamente influisce positivamente sulla sua conservazione: l’assenza di luce, la temperatura costante e l’assenza di uno dei peggiori nemici del vino, l’ossigeno (ogni bottiglia oltre che col sughero è chiusa con una capsula di cera e gommalacca) mantengono un colore vivace negli anni e la longevità ne giova. «La profondità è importante – spiega Emanuele Kottakhs, artefice dello Champagne “-52” che indica a quanti metri viene stivato per oltre un anno –, la bottiglia sottoposta dall’esterno alla sua medesima pressione interna è una condizione difficilmente riproducibile a terra, il che influisce sull’affinamento: il perlage, che effettivamente è più cremoso». Oltre all’assenza di luce e ossigeno, anche le correnti sarebbero apportatrici di armonia generando un dondolio che in un certo senso “amalgama” il vino all’interno della bottiglia. I vini stappati questa armonicità la esprimevano effettivamente in maniera compiuta, quanto alla sapidità e freschezza, che sia il mare a contribuire chissà, magari è più l’antica sabbia presente nei terreni calanchivi della tenuta, ma sempre mare era. Un altro vantaggio potrebbe esserci, ma prima di esprimersi in tal senso Grilli vuole misurare e rielaborare i dati: «La sostenibilità di questo tipo di cantinamento, dato dalla mancanza di condizionamento artificiale e dal mancato consumo di suolo. L’unica fonte inquinante alla fine è quella del combustibile per la barca che porta i sommozzatori alla piattaforma».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui