Stefano Nanni racconta il suo Festival di Sanremo

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In quel di Sanremo Stefano Nanni ormai è di casa. Dopo aver partecipato a varie edizioni del Festival, al fianco di Raphael Gualazzi, Giovanni Caccamo, Negramaro, Fedez e Francesca Michielin e altri, il musicista cesenate ha portato il suo estro creativo anche in quest’ultima edizione, la 72ª della celebre kermesse canora, da record di ascolti. Questa volta Nanni è stato chiamato in causa per dirigere l’orchestra per le esibizioni del cantautore napoletano Giovanni Truppi, al suo esordio sanremese con il brano Tuo padre, mia madre, Lucia, compresa l’esibizione di venerdì scorso serata dedicata alle cover, quando ha omaggiato Fabrizio De Andrè con il brano “Nella mia ora di libertà” insieme a Vinicio Capossela. Pianista, compositore, e arrangiatore diplomato in pianoforte, direttore d’orchestra jazz e direttore di coro e musica polifonica, Nanni nel suo curriculum vanta collaborazioni eccellenti con artisti jazz come Paolo Fresu e Fabrizio Bosso, ma anche con artisti del calibro di Luciano Pavarotti.

Nanni, cosa si porta a casa da questo Festival?

«L’anno scorso, in cui ho diretto l’orchestra per i super ospiti Negramaro l’atmosfera era abbastanza aliena. Quest’anno con il ritorno del pubblico la resa è stata completamente diversa. Con le persone in sala l’impressione è quella di vivere un concerto. Ho ritrovato il classico Sanremo di sempre, con tanta voglia di normalità e libertà da parte di tutti. Sanremo ha dato un impulso importante, ha formato un’onda che segnerà la ripresa della musica e arriverà dappertutto».

Come ha trovato la proposta musicale di questa edizione?

«Di qualità superiore rispetto al passato. Una scelta di brani variegata e interessante. Alcune edizioni sono state schiacciate dalla ricerca a tutti i costi del genere radiofonico. Quest’anno, complice anche il periodo che stiamo vivendo, molti artisti hanno scelto di non costruire il classico brano a tavolino per Sanremo, ma si sono concentrati sulla qualità musicale».

La love song di Truppi, di cui ha curato la scrittura degli archi, meritava un posto più alto in classifica?

«Essere a Sanremo è già di per sé un successo, soprattutto perché è un luogo in cui si creano relazioni. La gara in realtà non è così sentita dagli artisti. Un brano di grande qualità richiede più tempo per essere apprezzato, ma arriverà molto più lontano rispetto alla canzonetta orecchiabile».

È giusta quindi la classifica del Festival di quest’anno?

«La classifica mi sembra abbastanza logica, la vittoria di Blanco e Mahmood era nell’aria. Anche la canzone di Elisa è molto bella. L’operazione più giusta e meglio indovinata è stata quella di Gianni Morandi. Credo abbia vinto il personaggio. Molto bella poi la sinergia con Jovanotti».

Suo padre Vittorio era un orchestrale. Da figlio d’arte le è dispiaciuto che il Festival non abbia reso omaggio a Raoul Casadei come ha fatto notare la figlia?

«Faccio fatica a dare un giudizio in merito. Da romagnolo sono dispiaciuto per questa mancanza, ma Sanremo è un mondo a parte. Di sicuro la famiglia ha fatto bene a ricordarlo».

Prossimi progetti?

«Ne ho diversi in ballo. Uno su tutti un melologo con Giobbe Covatta e Danilo Rossi, una composizione sinfonica con testo recitato dal titolo Polimero. Un burattino di plastica. Si tratta di una fiaba musicale ispirata a Pinocchio scritta e da Covatta che debutterà il 9 maggio a ForlìMusica. Per quel che riguarda i concerti invece sono fermo. Ne avevo uno con Mogol, che è stato cancellato».

Dal jazz al pop come riesce a conciliare progetti e mondi così lontani tra loro?

«A volte me lo chiedo. Amo la musica a tal punto che quando mi capita una cosa la faccio, specialmente se non la conosco. Il pop è l’ultimo arrivato nel mio mondo. Spaziare da un genere all’altro, da un progetto all’altro, è una cosa che arricchisce, ma rischia anche di disorientarti. Io ho spesso a che fare con questi passaggi di confine, sono sempre in viaggio, è faticoso, ma è l’unico modo che conosco e che mi riesce meglio».

Ha collaborato con artisti importanti, c’è qualcuno con cui le piacerebbe lavorare?

«Ho avuti modo di lavorare ad alti livelli, ho vissuto esperienze importati, ma non guardo al passato, ma solo al futuro. Non penso mai che mi manchi qualcosa. Soltanto nel momento in cui arriva mi accorgo che mi manca».

Che ruolo hanno le origini romagnole nella sua musica?

«Vivere a Cesena per me è vitale, le mie radici sono queste e attingo linfa da qui. Mi piace viaggiare, ma poi a un certo punto sento il bisogno di tornare a casa».

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