Sono tre le ipotesi per il rigassificatore al largo di Ravenna

Tre possibilità per collocare il rigassificatore a Ravenna, mentre sul versante Adriatico anche Falconara fa emergere la propria candidatura. Nelle scorse settimane al vertice fra il ministro della Transizione energetica, Roberto Cingolani, e il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, c’era stata una condivisione d’intenti. Ravenna come hub energetico di importanza nazionale, cruciale per le dinamiche della regione, con la possibilità di ospitare un rigassificatore e un grande progetto sulle rinnovabili offshore: Agnes, composto da 75 pale eoliche oltre le 15 miglia nautiche e dal fotovoltaico fluttuante a impulsare la produzione di idrogeno verde.
All’interno della strategia l’impianto di rigassificazione, uno dei due che l’Italia vuole aggiungere per comporre il proprio mix energetico e slegare l’indipendenza della sussistenza nazionale dai rifornimenti di gas russo.
È Franco Nanni, presidente del Roca, l’associazione di contractors che compone il settore dell’oil&gas ravennate, a riassumere le opzioni con cui le acque romagnole potrebbero ospitare questo tipo di impianto. E rivela un’ulteriore opportunità: utilizzare uno dei giacimenti di metano esauriti per iniettare una riserva di gas, per stoccare 30 o 40 miliardi di metri cubi, utili alla fase invernale.
«Abbiamo tre opportunità, tutte praticabili e con aspetti tecnici diversi da affrontare».
In tutti e tre i casi l’impianto si interfaccia con una nave gasiera, che porta gas liquefatto con una temperatura a 162 gradi sotto zero: «Una modalità con cui si riesce a diminuire di circa 600 volte il volume del propellente. In questa maniera la nave attracca e trasferisce il proprio contenuto ad un seconda imbarcazione, attraccata stabilmente al largo di Ravenna», introduce il presidente del Roca. Questa contiene in sè l’impianto di rigassificazione, che attraverso un processo che impiega alcuni giorni riporta il gas al proprio stato naturale, ed è così possibile re-immetterlo nella rete. E sul possibile utilizzo di tubazioni di collegamento le opzioni già presenti in ambito ravennate sono, come detto, almeno tre. Se non già utilizzabili, quantomeno adattabili, però con fasciamo di pipe-line già approvate. Una delle più immediate, secondo Nanni, è quella rappresentata dall’impianto ex Some di proprietà della Pir: «In questo caso l’unico elemento tecnico da superare – spiega il vertice dell’associazione degli operatori del settore – è data dalla necessità di cambiare la tubazione, perché quella presente era destinata all’olio riscaldato pesante, inviato a Porto Tolle». L’altra possibilità è quella del riutilizzo di piattaforme metanifere inutilizzate: «Un esempio facilmente attuabile – aggiunge il numero uno del Roca – è quello dell’utilizzo, per l’integrazione di un serbatoio, delle piattaforme Garibaldi. In questo caso c’è da implementare un tratto di tubo flessibile, perché poi il collegamento verso la centrale di Porto Corsini è già attuato». Una terza opzione vedrebbe la completa riconversione di una piattaforma, attraverso un ritrovato tecnico proposto da China Merchant Group, l’azienda che si è stabilita pochi anni fa nella sede che fu del Gruppo Ferruzzi: «In quel caso non si utilizza uno storage tank, ma un impianto che si integra totalmente all’impianto. È un progetto che presentarono – ricostruisce Nanni -, alla presenza di Roca, al ministero nel 2018, quando si parlava del decomissioning delle trivelle in Adriatico. E che ora potrebbe tornare utile».