Sirio, gli indagati chiedono il dissequestro dei 7,6 milioni

Gli ex amministratori della Sirio spa chiedono il dissequestro dei 7,6 milioni di euro congelati nel corso dell’inchiesta che li vede indagati per falso in bilancio. La loro istanza è stata discussa di fronte al tribunale del Riesame, che si è riservato sulla decisione. Il provvedimento eseguito a fine giugno dalla Guardia di Finanza di Ravenna su delega del sostituto procuratore Angela Scorza, era successivamente stato convalidato dal giudice per le indagini preliminari Corrado Schiaretti sulla base delle risultanze investigative che hanno puntato i riflettori sugli anni di gestione tra il 2015 e il 2021 da parte dell’ex amministratrice delegata e dell’ex presidente del consiglio di amministrazione, rispettivamente destinatari di sequestri per 4,4 e 3,2 milioni di euro.
Il concordato
Per una singolare coincidenza temporale, l’udienza tenuta davanti al collegio composto dai giudici Cecilia Calandra, Cristiano Coiro e Cosimo Pedullà, è stata fissata in concomitanza con l’arrivo dell’omologa da parte del Tribunale del concordato preventivo in continuità aziendale per la Sirio spa, storica azienda ravennate leader nella gestione del servizio bar nelle concessioni ospedaliere; si tratta di un passaggio indispensabile per consentire un’articolata operazione di ristrutturazione aziendale volta a salvaguardare oltre 600 posti di lavoro.L’indagine sui falsi bilanci
Parallelamente l’inchiesta penale nata con l’esposto dell’amministratore giudiziario nominato e condotta dal nucleo di Polizia Economico-Finanziaria prosegue. E vede i due ex amministratori (non chè soci di maggioranza della società) accusati nello specifico di avere gonfiato negli anni i bilanci di esercizio, indicando rimanenze di magazzino fino a 10 volte superiori a quelle realmente esistenti. Avrebbero anche modificato i contratti con importanti fornitori allo scopo di contabilizzare crediti commerciali in realtà fittizi. Il tutto, mentre già la società stava attraversando uno stato di profonda crisi.Nel complesso, si sarebbe creata una sopravvalutazione dell’attivo patrimoniale stimata intorno a oltre 32 milioni di euro, tra rimanenze di magazzino, sopravvalutate per ben 26 milioni e crediti inesistenti per altri 6,5 milioni. Ed è appunto in questo scenario che i due indagati avrebbero accumulato un profitto personale superiore ai 7 milioni di euro. Evitando in altre parole di portare i libri contabili in tribunale avrebbero prolungato la vita dell’impresa, continuando così a godere di importanti stipendi e benefit aziendali da un lato, e dall’altro smarcandosi dal dover ripianare le perdite in quanto soci di riferimento.