Silvio Orlando al teatro Bonci di Cesena: l'intervista

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Da ormai vent’anni il teatro Bonci di Cesena accoglie con entusiasmo l’attore napoletano Silvio Orlando (1957), che spesso si presenta in tandem con il cinema. Da stasera alle 21 e fino a domenica 6 novembre (ore 16), al Bonci l’attore è protagonista assoluto di “La vita davanti a sé” che, dice, «sento come parte di me». Sul palco anche l’ensemble Terra Madre con fisarmonica, clarinetto, chitarre, strumenti etnici, per musiche magrebine, ebraiche, africane. Sabato 5 novembre alle 17.30 lo stesso Orlando, al cinema Eliseo, introduce la proiezione del film “Siccità” di Paolo Virzì di cui è fra i protagonisti. Lunedì 14 novembre a Napoli riceverà il Premio Anct (Associazione nazionale dei critici di teatro), Premio alla carriera.

“La vita davanti a sé” è nato nel 1975 come romanzo del francese Romain Gary; nel cinema ha vinto l’Oscar (1978) come miglior film straniero e il David per l’attrice Simone Signoret. Nel 2021 è stata Sophia Loren a ricevere lo stesso David nella nuova versione del film di suo figlio Edoardo Ponti; Laura Pausini si è aggiudicata il Golden Globe per la canzone originale. La storia, ambientata in un quartiere multietnico della Banlieue parigina, è raccontata dall’arabo Momò dieci anni, nel quale l’attore si immedesima. Momò è un ragazzino orfano cresciuto nella pensione di Madame Rosa, ex prostituta ebrea che cura i figli nati da “incidenti sul lavoro”.

Come è arrivato, Orlando, a questo progetto che sta diventando segno distintivo del suo teatro?

«Era un desiderio che mi si è innestato dentro e che mi aveva posseduto sin dalla prima lettura del romanzo, nel 2017. Oggi credo che questo lavoro non morirà mai per me. Mi rendo conto che più passa il tempo, più aumentano le recite, più lo spettacolo cresce, mentre io lo interpreto sempre meglio e lo rendo più mio. Davvero riconcilia col teatro; il pubblico capisce che non è uno spettacolo qualsiasi, vi si cala dentro insieme a me; il testo è commovente, divertente, semplice, e arriva al cuore».

Lo ha affrontato anche da autore, scrivendo adattamento e regia. Come ci è riuscito?

«Bisogna avere idee chiare, estrarre qualche concetto fondamentale sacrificando l’andamento del romanzo che è digressivo; in un’ora e mezzo devi rapire il pubblico, travolgerlo; tutto della storia deve essere chiaro, io sono un ponte che aiuta a trovare una connessione sentimentale fra me, il romanzo e il pubblico».

Quale storia emerge nel suo spettacolo?

«Momò è il protagonista assoluto. Tutto ruota attorno ai suoi occhi, al suo punto di vista imprevedibile, anche fantastico, di stupore per ciò che vede per la prima volta. È la chiave per entrare nel romanzo e poter fare entrare il pubblico nell’atmosfera. Il teatro riesce a mostrare anche ciò che fisicamente non si vede, come i personaggi della fantasia di un bambino, in questo senso il teatro è il medium migliore per poterlo rappresentare, più del cinema e televisione che tendono al realismo».

Cosa invece, da uomo, ha colto più di Momò e della sua storia?

«Senz’altro il punto di vista verso esseri umani che è giusto chiamare per nome; ciò che però mi ha davvero travolto, è la ricerca d’amore che questo bambino esercita. È un orfano senza documenti, un fantasma. La presenza della tenutaria ex prostituta morente lo mette in una situazione di smarrimento rispetto al futuro. Ed è proprio il suo smarrimento legato alla ricerca dell’amore, ciò che mi ha “costretto” a portare in scena questo spettacolo! Attraverso le paure e il dolore di un bambino, ci addentriamo con meno difese nei problemi di queste vite di serie B, fantasmi che vediamo solo come una massa pericolosa e minacciosa».

In lei convive anche il cinema; è reduce dal set di Nanni Moretti “Il sol dell’avvenire” (in uscita nel 2023); sabato presenta al pubblico “Siccità” di Paolo Virzì.

«Sono lieto di essere tornato a lavorare con questi due registi. Del film di Moretti, a episodi, partecipo a quello dell’invasione dell’Ungheria del ’58. “Siccità” è un’opera corale; a distanza di anni ho ritrovato i due registi migliorati; Virzì, sempre vitale, pieno di idee, generoso, anche con un senso di umanità più forte».

Qual è invece il suo pensiero sull’invasione di cinema nelle piattaforme, rispetto a sale più vuote?

«Ho la sensazione che si sta frantumando tutto, le persone vedono migliaia di ore di film, di immagini, con fruizione molto subita. La vita della sala diventa complicatissima da portare avanti perché le persone sono sature di immagini e sempre più rannicchiate sul quel divano. Alla fine si genera angoscia e stanchezza».

Info: 0547 355959

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