Settimana corta, realtà a Forlì. Cgil: "Maggiore produttività"

Alla Ferretti Group è stato inserito un contratto integrativo per cui gli operai di produzione lavorano effettivamente 7 ore, seppure il turno sia retribuito contando le classiche 8 ore. Alla Bonfiglioli, invece, le ore settimanali sono 35 ma vengono pagate dall’azienda come fossero 40. Da gennaio, sulla base di accordi presi individualmente e non collettivamente, l'istituto di credito Intesa Sanpaolo è partito con la sperimentazione della settimana corta di 4 giorni per 9 ore con contestuale riduzione dell’orario a 36 settimanali e a parità di stipendio. Anche a Forlì, come in altre realtà italiane, si sta diffondendo la riduzione della settimana lavorativa che in questi giorni ha aperto un vero e proprio dibattito. In attesa che il Governo termini l’indagine conoscitiva sul territorio nazionale senza escludere un intervento legislativo nel giro di poco tempo, in molti casi la riduzione della settimana lavorativa è una sperimentazione che trova l’appoggio dei sindacati.

Maria Giorgini, segretaria della Cgil di Forlì, il sindacato che lei guida sta discutendo della riduzione dell’orario di lavoro?

«Certamente sì, lo abbiamo fatto in occasione della festa della Cgil Forlì-Cesena e ne parleremo al prossimo congresso nazionale. Uno studio dimostra come la riduzione dell’orario di lavoro, accompagnata da investimenti nelle tecnologie e percorsi di formazione continua, possa determinare maggiore produttività. Rispetto ad altri paesi, noi siamo indietro. In Italia dopo le battaglie degli anni ’60 e ’70 ci siamo stabilizzati sulle 40 ore: le ore lavorate annuali sono 1.669 contro una media europea di 1.566 ore. Gli occupati tedeschi sono in assoluto quelli che passano meno tempo sul luogo di lavoro, 1.349 ore ciascuno in un anno».

Ci spieghi meglio. Come la riduzione dell’orario di lavoro può trovare applicazione anche qui? Nel concreto come bisognerebbe organizzarsi?


«È evidente che le nuove tecnologie determinano maggiore produttività e maggiore profitto che va redistribuito. Per farlo proponiamo incentivi alle imprese che attraverso la contrattazione riducano l’orario lavorativo a parità di salario. Non solo, è fondamentale capire che tanto tempo passato sul luogo di lavoro non significa necessariamente lavoro migliore e produzione più alta. Anzi, spesso è esattamente l’opposto. Orari prolungati, come per esempio avviene nella logistica, in molti casi sono il frutto di cattiva organizzazione, organici ridotti o di scarse dotazioni di strumenti a disposizione del lavoratore, perciò serve più tempo per fare le stesse cose. La riduzione dell’orario di lavoro oltre a determinare maggiore produttività, permetterebbe anche una migliore conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro delle persone».


Questa formula potrebbe avere anche risvolti positivi sull’occupazione femminile che ha registrato un segno negativo negli ultimi anni anche nel nostro territorio?

«Ne sono convinta. La riduzione dell’orario di lavoro significherebbe l’aumento dell’occupazione femminile e una miglior qualità della vita per tutti. Dove riesci a fare questo la conciliazione dei tempi lavoro-casa-famiglia cresce, quindi le donne sarebbero spinte a buttarsi o a rientrare nel mercato del lavoro. Il beneficio esiste ed è reale».

Per il momento si tratta quasi sempre di sperimentazioni, a Forlì c’è qualche azienda che si muove in questa direzione?


«Ferretti Group, Bonfiglioli e Intesa Sanpaolo ne sono un esempio. Anche nel terziario esistono alcune imprese cooperative che da anni lavorano 38 ore pagate 40 con l’assorbimento di parte dei permessi retribuiti. Insomma, se si vuole è possibile e questo modello a mio avviso può essere replicato in ogni settore».

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