Serie TV: The Bear

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Questa serie tv, ambientata a Chicago, racconta la vicenda del giovane chef Carmy (Jeremy Allen White) che, mentre lotta per trasformare se stesso e per rinnovare la sua tavola calda, si trova a dover lavorare con una brigata di cucina un po’ sopra le righe…

Sin dalle prime sequenze “The Bear”, in streaming su Disney+, immerge lo spettatore in un universo esistenziale problematico, sregolato e fortemente segnato dalla nevrosi, offrendo una visione quotidiana e familiare del cibo e raccontando luci e ombre della ristorazione. Ma non solo. La cucina diventa, in “The Bear”, che a tratti sembra avere il passo del cinema indipendente e d’autore (vengono in mente, solo per fare qualche esempio, i film dei fratelli Safdie e di Robert Altman…), anche una proiezione dei vari personaggi, quasi un luogo dell’anima. Attraversata da una vena disperata, la serie creata da Christopher Stoner, capace di rendere ogni carattere vivo e palpitante, grazie anche a dei dialoghi sempre curati e serrati, ci mette davanti al senso tragico della vita e alla sua “follia”, non rinunciando però a una certa dose di ironia. I temi trattati sono tanti e, tramite le storie di Carmy e dei suoi compagni d’avventura, vengono tutti esplorati in profondità: dall’elaborazione del lutto al dolore che ognuno sembra portarsi dentro, da un costante sentimento di inadeguatezza ai guasti provocati da una famiglia “tossica” e disfunzionale, fino ad arrivare al confronto con i propri problemi irrisolti e alla domanda delle domande (qual è lo scopo dell’esistenza?).

Grazie ad un gruppo di interpreti - meritano una menzione Ebon Moss-Bachrach, Ayo Edebiri, Liza Colón-Zayas, Lionel Boyce e Jamie Lee Curtis - che si fanno vettori di una dimensione attoriale vissuta come un “ponte” legato alla quotidianità e alla realtà, “The Bear” riesce quasi sempre ad andare oltre gli stereotipi che contraddistinguono la maggior parte delle serie televisive. Un lavoro, “lontano da qualsiasi psicologizzazione applicata e in cui le forze dell’inconscio si offrono allo stato grezzo”, che si caratterizza per il suo realismo spietato e per l’attenzione rivolta ai dettagli e ai piccoli gesti nervosi (veri e propri portatori di senso) dei personaggi. Il tutto valorizzato dalla tecniche di ripresa e di montaggio - piani sequenza, primi piani ravvicinati, momenti di più ampio respiro - e da una colonna sonora utilizzata con chirurgica precisione. La degna cornice formale per quello che forse è il tratto più iconico della serie: lo sguardo smarrito e “sgualcito” di Carmy. Uno sguardo che, alla fine, potrebbe essere anche il nostro.

“Quel che viene fuori - ha scritto Beatrice Dondi - da ogni inquadratura di ‘The Bear’, in cui i primi piani si susseguono come se stessero tutti guardando proprio te che li guardi, è che il cibo pretenzioso, la stella ambita, il cannolo salato, appartengono al medesimo impasto delle umane vicende, dove ognuno fa la sua parte, impegnandosi per conoscere se stesso con la stessa precisione che serve per creare il dessert perfetto. Perché mangiare è un po’ come pensare e cucinare lo è ancora di più. Quando devi mettere un menu nero su bianco devi scegliere, devi decidere, capire se la strada intrapresa è davvero quella corretta, esattamente come quando ti chiedi se hai trovato le parole giuste per esprimere quell’idea, un sentore come un sapore, che ‘basta rifarlo un milione di volte e poi il gioco è fatto’. Così ‘The Bear’ manipola il cibo come fosse un sentiero da percorrere, l’etica come un mestolo, la crescita personale, la sconfitta, l’orgoglio, la memoria: qualunque singolo movimento cerebrale ed emotivo viene impiattato e servito su un tavolo con le forchette lucidate a dovere”.

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