Sentenza Berkan B: "Rossi immobile senza assumersi responsabilità"

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I principali responsabili degli sversamenti della Berkan B non sarebbero i vertici di Autorità Portuale, bensì i proprietari della motonave abbandonata nel 2009 e divenuta relitto, il cui parziale affondamento, con lo sversamento di idrocarburi, ha avvelenato parte della pialassa Baiona almeno fino alla definitiva rimozione. Nei loro confronti saranno trasmessi gli atti alla Procura. Si potrebbe dunque aprire un nuovo capitolo penale sull’inchiesta, che il 10 ottobre scorso si è conclusa con la condanna del presidente di Ap, Daniele Rossi, a 8mila euro di ammenda e al risarcimento di mille euro per ognuna delle sei associazioni ambientaliste costituitesi parte civile.

Tolto questo inciso, l’asse portante delle motivazioni della sentenza appena depositata dal giudice per l’udienza preliminare Corrado Schiarettiè un macigno che si abbatte sul numero uno dell’ente di via Antico Squero, in particolare sulla gestione dell’intera vicenda, a partire dalla concessione per lo smantellamento della nave, fino all’emergenza poi divenuta scandalo, fra inerzia e rimpallo di competenze che all’epoca delle indagini portarono pure alla sospensione del manager da parte dell’autorità giudiziaria con una misura cautelare poi annullata.

La genesi

Le responsabilità di Rossi, secondo il giudice, iniziano in un periodo preciso: nell’ottobre del 2017 o «quantomeno» nel marzo del 2018. Sono le date in cui il presidente di Autorità portuale viene «debitamente informato di quanto stava accadendo» e sollecitato dalla Capitaneria di porto affinché intervenisse. La nave, venduta all’asta per 70mila euro ormai da anni e non più in condizioni di poter navigare, era stata successivamente ceduta. Senza alcun piano di demolizione, era stata parzialmente smantellata dai titolari della concessione rilasciata e rinnovata dall’Ente portuale, e stava gradualmente affondando facendo fuoriuscire liquami e carburante. Provvidenziale l’intervento della Capitaneria, che aveva posizionato un primo strato di panne per contenere lo sversamento di idrocarburi in acqua. In quel momento, rimarca il gup, «Rossi aveva la facoltà di dichiarare la decadenza del concessionario». Invece è del maggio 2018 l’ennesimo rinnovo della concessione demaniale, autorizzazione rilasciata nonostante lo stesso presidente avesse «preso atto dei rischi di un possibile cedimento». Insomma, Ap «rimaneva inerte e invitava a provvedere altre autorità pubbliche». Nello specifico la stessa Capitaneria e l’Ausl.

Un anno senza fare nulla

Bisogna attendere un anno, fino al febbraio del 2019, per assistere al primo intervento attivo dell’Autorità portuale per contenere il rischio di altri sversamenti. Un’attesa che Rossi, ormai finito al centro dell’indagine coordinata dal sostituto procuratore Angela Scorza, avrebbe provato a giustificare nel primo interrogatorio, negando che fosse sua competenza il rilascio delle autorizzazioni, sostenendo di non averne mai rilasciate. Risposte sulle quali il giudice non si risparmia nel dire che il dirigente «non sapeva (o almeno non ricordava) di avere rilasciato l’autorizzazione», aggiungendo che «non ha compiuto nessuna effettiva istruttoria, non ha compreso il senso della norma», muovendosi come spinto da «un inconsistente tentativo autodifensivo postumo».

La competenza di Ap, continua il magistrato, era invece doppia: da un lato quella dell’iter autorizzativo, dall’altro quella di vigilanza. In definitiva, «Rossi ha omesso di adottare qualsiasi provvedimento e di esercitare i poteri a lui attribuiti per almeno un anno, ha cercato di evitare di assumersi la responsabilità di quanto stava accadendo, scaricandola sulla Capitaneria di porto, per poi muoversi pachidermicamente in una direzione sbagliata, senza procedere allo svuotamento degli idrocarburi ancora stivati nel relitto e disponendo l’aspirazione degli inquinanti solo dopo l’affondamento della Berkan B, un anno e mezzo dopo il primo, ma già chiaro, segnale d’allarme».

L’ex segretario generale

Quanto al coimputato, l’ex segretario generale di Ap, Paolo Ferrandino, l’assoluzione deriva dall’assenza di atti a sua firma che lo collegano direttamente all’inerzia contestata all’Ente. Su di lui, poche ma incisive riflessioni: «L’unico intervento “diretto” sul merito della vicenda (...) non ha prodotto alcun effetto concausale» sull’inquinamento, limitandosi «in una incompetente disamina di disposti normativi, con un atteggiamento, in senso lato, disordinatamente e sterilmente difensivo nei confronti del presidente di Adsp, privo di qualsiasi effetto».

Infine ecco il motivo della condanna tutto sommato lieve per Rossi: il reato è stato derubricato in inquinamento colposo, punibile con una contravvenzione, nonostante le «responsabilità che ha ignorato e i poteri che non ha azionato». Merito anche dei successivi interventi «per elidere le conseguenze dannose del reato», vale a dire la seconda fila di panne, rivelatesi salvifiche per l’intera oasi naturale.

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