Sensibilità e tanta eleganza, un Brunello al femminile

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Ventotto anni di storia, alle Potazzine, e lo stesso entusiasmo degli esordi, rafforzato, ovviamente, dalla nuova linfa di Viola e Sofia, che da un lustro affiancano in azienda la madre Gigliola Giannetti, per una delle rarissime imprese tutte al femminile della moderna viticoltura italiana. Una storia che inizia da lontano, quella di Gigliola, che ‘nasce’ ad Argiano e lavora appena diciannovenne per Biondi-Santi. Anni in cui attecchisce la mitologia moderna di Montalcino, che passa in pochi anni da territorio di vini raffinati a punti di riferimento mondiale dell’enologia.

Quindi Gigliola, che anni sono stati questi ultimi 28 anni a Montalcino?

«Entusiasmanti, in effetti. Ho avuto la fortuna di vivere i veri anni di crescita, dalla prima fascetta DOCG del 1985, che ricordo benissimo, ai fantastici anni ’90, alle grandi opportunità, date, in quei tempi, agli under-40 per costruirsi una vita nel vino anche se non provenivano da casate storiche. E poi anche i rischi che abbiamo corso, come quello, ai tempi inimmaginabile, di acquistare nel quadrante sud-ovest, a quasi 510 metri sul livello del mare, una collocazione che ai tempi era considerata pochissimo pregiata e vantaggiosa».

E invece?

«E invece è stata profeticamente la nostra fortuna, dato il classico clima ventoso di Montalcino, l’importante escursione termica e la corretta insolazione, abbinata ai cambiamenti climatici di cui ormai tutti siamo al corrente, le nostre uve crescono sempre sane, mettendoci al riparo sia nelle annate calde che, al contrario, in quelle molto piovose, o anche nel caso di gelate primaverili, fenomeno ormai sempre più frequente. Il resto è il lavoro agronomico quotidiano che svolgiamo, che mi infastidisce chiamare ‘biologico’, anche se poi è quella la direzione in cui stiamo andando, perché è oltre la sostenibilità, un lavoro diverso ogni anno, un lavoro svolto per sottrazione, pianta per pianta, sia nei nostri 5 ettari e mezzo, da cui otteniamo, insieme, Rosso di Montalcino e Brunello, sia nell’ettaro di Sangiovese dedicato all’IGT».

Per quanto riguarda la cantina, invece?

«Per quanto riguarda la cantina siamo, se possibile, altrettanto fortunati, dato che da quando abbiamo iniziato lavoriamo, senza saltare un anno, con fermentazioni spontanee ed affinamenti in botte grande, molto lunghi, per il Brunello circa di 40-42 mesi. Privilegiamo la finezza, la delicatezza delle letture, e soprattutto il tentativo di fare vini immediatamente riconoscibili, in cui il frutto sia al centro del discorso olfattivo-gustativo».

Il fatto di essere in tre donne influisce sul vino che fate?

«Ovviamente. Io, Viola, mia figlia che si occupa prevalentemente di cantina, e Sofia, l’altra figlia, che invece si occupa di marketing e di ospitalità, siamo concordi sul vino da fare, ma soprattutto sull’attenzione maniacale ai dettagli, che in questo lavoro è davvero fondamentale. Faccio sempre l’esempio del tavolo di cernita: quello è il lavoro che definisce il tipo di vino che farai. I nostri sono vini di interpretazione e sensibilità, cose che si trasmettono molto a fatica, ma in generale siamo tutte e tre concordi sul propendere verso bevande non allineate, eleganti, non muscolari, con tannini setosi e vellutati, e profili fruttati».

È una fortuna, immagino, quella di avere due figlie con te.

«Certo. È anche il discorso di eredità da trasmettere. Entrambe hanno studiato alla Cattolica di Milano, non hanno subito pressioni di nessun genere sulla strada da intraprendere, ma poi autonomamente hanno scelto di tornare e lavorare qui. Ecco allora che tutto il lavoro di questi anni acquista un significato, perché potrò trasmetterlo».

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