Savignano, un nuovo doc su Marco Pesaresi per il "Si fest"

Archivio

Anche l’edizione 2023 di Si fest che ha preso il via l’8 settembre presenta varie mostre dedicate alla figura di Marco Pesaresi. Si affiancano al proseguimento fino al 23 settembre – nella doppia sede di Palazzo Martuzzi e a Castel Sismondo a Rimini – di Rimini revisited. Oltre il mare, percorso nelle sua fotografia in bianco e nero, dall’archivio fotografico comunale di Savignano, a cura di Mario Beltrambini e Giuseppe Pazzaglia. Accompagna la mostra la proiezione a ogni ora (10-20) di 22B, corto di lancio del progetto del film documentario su Marco Pesaresi Il granchio nudo.

Ora il progetto di questo docufilm dedicato al compianto fotografo riminese, realizzato dall’equipe della Università Iulm di Milano, con il patrocinio e il sostegno del Comune di Savignano, è giunto alla fase di montaggio (con successiva distribuzione).

A Riccardo Caccia, docente di Storia del cinema della Iulm e Michela Fragomeni, produttori esecutivi, ideatori e realizzatori insieme alle registe Marta Erika Antonioli ed Elena Padoran, abbiamo rivolto domande su questo importante lavoro dedicato a Pesaresi.

Un titolo, spiega Fragomeni, suggerito dalla bella definizione di Marco Pesaresi che venne data dall’amico Marco Baggio: «Penso sempre alla sua esistenza congelata in quello stato lì. Non aveva scudi. Però gli ha consentito di avere uno sguardo».

«L’idea di un progetto filmico – dice Fragomeni – è nata frequentando per molti anni la riviera romagnola e venendo a conoscenza della particolarità delle foto di Marco come un’emozione sorta dalla conoscenza prima dell’artista poi della sua anima complessa e tormentata. Ognuno di quanti l’hanno conosciuto racconta il “suo” Marco, un uomo così ricco soprattutto d’amore. L’emozione più grande è stata l’aver avuto il privilegio di entrare in punta di piedi nella storia di Pesaresi per provare a raccontare, nel modo più autentico e onesto, la vita e la poetica di questo ragazzo dall’anima mite e inafferrabile, dotato di uno sguardo struggente ma implacabile sull’umanità del suo tempo. La misura del vuoto che ha lasciato è pari alla grandezza della sua fotografia».

A giudizio di Caccia, Pesaresi ha rappresentato la fotografia con una forza non comune: «Il suo sguardo dentro le cose non era quello di un fotografo d’agenzia ma di un poeta dell’immagine da riscoprire. Per questo si è trattato di un lavoro, durato quattro anni, di ricerca e realizzazione intorno all’universo di Marco, sempre fonte di nuove scoperte, che hanno via via accresciuto la sua durata iniziale prevista di 40 minuti.

«Oggi che la street photography ha preso molto piede, la lezione di Pesaresi è rappresentata invece da quello che era il suo rapporto, ovunque direttamente vissuto, con la realtà che fotografava, che gli faceva dire: “la mente aveva completamente annullato le distanze. Rimini, Roma, Mexico City, Calcutta, erano contemporaneamente presenti nella stanza dove alloggiavo”. E viveva la realtà osservata con un senso di grande fratellanza verso coloro che fotografava, specie i più poveri e umili».

Fragomeni sottolinea ancora l’importanza dell’ambientazione del film nella terra di Pesaresi, la Rimini a cui faceva sempre ostinato ritorno anche dopo esperienze estreme e lontanissime: «Rimini era la sua realtà, che andava costruendo con il suo libro ad essa dedicata che era il lavoro della sua vita, ritrovata come in un sogno dolente, con il candore del fanciullino della poesia pascoliana che amava, quello che vede una cosa per la prima volta e la restituisce attraverso il suo sguardo. Il suo lavoro era quello di un poeta, che ha amato profondamente la sua terra».

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