Riviera Basket Rimini, riecco gli assi della carrozzina: "Torniamo in campo dopo più di nove mesi"

«Lo sport è vita, lo è per una persona normodotata, mille volte di più per una in carrozzina». Sono sufficienti queste poche parole con cui Mirco Acquarelli commenta il ritorno sul parquet dopo oltre nove mesi per capire l’attesa che si respira in casa Riviera Basket Rimini. Nove mesi, un parto, ma in questo caso molto di più.
Mirco ha 39 anni e 15 anni fa una disattenzione alla guida gli è costata una lesione incompleta del midollo spinale che lo costringe su una sedia a rotelle. A 24 anni il mondo gli è crollato addosso, ma ha trovato dentro di sé la forza per costruirsi una nuova vita, fare mille cose fra cui appunto la fondazione della prima squadra di basket in carrozzine sul territorio romagnolo (ce n’era solo un’altra a Imola) ed è diventato testimonial e collaboratore del progetto “Educazione alla Legalità” della polizia locale. Incontra persone, racconta la sua esperienza, trasmette coraggio. Questi sono giorni speciali, quelli appunto dell’immediata vigilia del ritorno sotto canestro, e li racconta con il biberon in mano dopo l’allattamento della creatura che due mesi e mezzo fa lo ha reso padre.

Mirco, finalmente è la volta buona dopo la falsa partenza di qualche giorno fa. Da quanto non indossate la “canotta” per una palla a due?


«Siamo fermi da aprile 2021, perché il nostro campionato inizia in genere a fine gennaio e dopo le prime tre partite siamo diventati tutti positivi al Covid e siamo stati costretti a fermarci: quando eravamo pronti c’erano già i playoff e abbiamo rimandato quindi a questa stagione. L’esordio era in programma domenica scorsa contro il Porto Torres, ma per problemi logistici legati alla pandemia i nostri avversari non sono riusciti a venire a Rimini e inizieremo domani alle 15,30 a Rieti».

Lei è uno dei fondatori del Riviera Basket, come siete riusciti a creare una squadra di basket sul territorio? E quali sono le principali difficoltà?


«È partito tutto da un gruppo di amici che voleva creare qualcosa in zona, visto che il movimento dello sport per disabili da noi è molto limitato: c’era una squadra a Imola che era la sola da queste parte, ma volevamo averne una anche qui in Romagna. In tre o quattro abbiamo iniziato a fare qualche allenamento e siamo riusciti a creare un bellissimo gruppo cui si sono uniti un po’ di ragazzi da fuori: a noi di Rimini, Riccione e Coriano se ne sono aggiunti due da Bologna, uno da Porta Potenza Picena e uno da Sant’Ippolito di Fano. Dal 2017 siamo iscritti al campionato nazionale Serie B e ci alleniamo e giochiamo alla Palestra Carim, l’unica attrezzata e accessibile al momento per le nostre esigenze grazie a un intervento ad hoc del Comune. Non ce ne sono altre».

Con il suo ruolo di testimonial e collaboratore del progetto “Educazione alla Legalità” incontra tante persone di ogni età, quale è il messaggio che trasmette e quale lo scoglio più grande?


«In realtà faccio quello che mi diverte, poi se sono un esempio sono contento. L’ostacolo più difficile, ancor più delle barriere architettoniche, è il lavoro sulle persone: qui in Romagna siamo un po’ indietro di mentalità e anche di strutture, perché anche quelle ricettive non sono tutte attrezzate per ricevere molte persone con disabilità contemporaneamente. Per fortuna qualcosa si sta muovendo, vedo molti bagnini iniziare a fornire servizi fantastici e anche nell’alberghiero si stanno facendo passi avanti contro quella che è una forma di emarginazione».

Perché ha scelto il basket?


«Da ragazzino giocavo a calcio, ma mi divertivo anche con un po’ di pallacanestro in spiaggia e al campetto: in carrozzina gli unici sport davvero un po’ agonistici sono il basket o il rugby, ma questo non mi piace. L’ho provato, ma non mi ispira perché sono gran sportellate».

Quanto sono importanti lo sport e l’attività fisica?


«Sono fondamentali perché ti fanno star bene, ti svagano e ti mettono a confronto con altre persone: in gruppo si condividono le esperienze, ci si consiglia a vicenda e si cresce tutti insieme. Facendo un campionato nazionale, anche in questi mesi di restrizioni da Covid abbiamo avuto la possibilità di allenarci sempre e di continuare a vederci ed è stato molto di aiuto. Lo sport è vita, lo è per una persona normodotata e molti di più per una persona in carrozzina».

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