Rimini. Strillone, edicolante e acchiappa-vip: Baldo si ritira

All’anagrafe si chiama Giancarlo Baldisserra, ma per tutti a Rimini (e non solo) è da sempre semplicemente Baldo. Come nel noto spot pubblicitario, basta la parola e la mente corre subito all’istrionico “uomo dei giornali” con la macchina fotografica o il cellulare sempre carichi per uno scatto con il vip di turno. In città o in provincia sbarca un volto noto del mondo dello sport, della politica, dello spettacolo o del jetset? Immancabile eccolo spuntare, con la battuta verace, il sorriso e l’immancabile scatto. Senza che nessuno gli abbia mai detto veramente no e si sia negato.

Ma prima di tutto Baldo è - o meglio è stato, vista la recente decisione di abbassare la saracinesca - l’edicolante “itinerante” di via Lagomaggio. Sì, perché all’attività “stanziale” aggiungeva la consegna a domicilio già prima che il Covid-19 la rendesse una necessità. Chilometri e chilometri a macinare l’asfalto con l’inseparabile bicicletta retaggio dei primi anni di lavoro nel mondo dei quotidiani. E oggi che a 80 anni appena compiuti ha deciso di dire stop e chiudere la “creatura” aperta oltre mezzo secolo fa e sempre portata avanti con la moglie Pia, sfoglia il ricchissimo album dei ricordi e parte proprio dal principio.

Baldo, lei era un giovanissimo falegname, come è diventato edicolante?

«Fui ingaggiato da un parente del mio datore di lavoro del tempo quale aiutante strillone. Allora, erano i primi anni ’60, il venditore di giornali in strada e a Rimini ovviamente in spiaggia era un vero mestiere. Uno di quelli venuti a mancare. Lavoravo per il Corriere della Sera, ma ho fatto anche 5-6 Giri d’Italia con il Resto del Carlino e Stadio: passavamo a vendere alla partenza, un’ora prima del via. Da strillone ho girato l’Italia, quasi tutta, e ho fatto una stagione invernale e mezza a Cortina, perché una parte me l’ha fregata un altro strillone: arrivavo fino a 2mila metri con la funivia per portare i giornali nei rifugi, poi scendevo e passavo a darne negli alberghi e in piazza. Ho frequentato hotel, ristoranti, locali notturni: che tempi».

E qui in città come si svolgeva il suo lavoro?

«Venni ingaggiato per la campagna di rilancio del Corriere della Sera. Ritiravo l’ultimissima edizione del Corriere d’Informazione a mezzanotte in viale Pascoli e facevo il giro fino all’una in bicicletta sul marciapiede giù giù fino alla Casina del Bosco. Poi riprendevo con il Corriere della Sera la mattina e il pomeriggio. Oltre al fisso avevo una percentuale sulle copie e avevo creato un mio metodo per venderne molte».

Quale era il suo trucco?

«La mattina aprivo il giornale e facevo una cornice sulle notizie di cronaca più importanti, soprattutto quelle di nera: rapine, omicidi in giro per l’Italia, un po’ di tutto. Poi mi mettevo la mazzetta sul braccio così che si vedessero le sottolineature e urlavo i titoli dei fatti che potevano attirare di più. In questo modo riuscivo a vendere quasi 250 quotidiani al giorno».

Il grande passo è datato 1968, l’apertura di un’edicola tutta sua in via Lagomaggio.

«Per tantissimo tempo è stata una bomba. All’uscita dalla messa della domenica c’era la fila per un’ora, nei giorni di pioggia vendevo montagne di fumetti, intere collezioni di Tex, Diabolik e Topolino e avevo una media di circa 200 giornali al giorno. Solo di Tv Sorrisi e Canzoni ne vendevo un’ottantina a settimana. Con Internet, i siti online e i telefonini il nostro mondo è quasi finito e con l’informazione non si campa più: i fumetti li comprano solo i collezionisti, di quotidiani locali ne acquistano in edicola neanche il 30 per cento di allora grazie al fatto che ogni giorno con la bici ne andavo a portare in giro negli uffici e a casa qualche decina da Bellariva a Piazza Tripoli. Un tempo avevo clienti che ne compravano due-tre diversi e sono scesi a zero».

È per questo che ha deciso di dire basta?

«Anche. Il Covid ci ha dato un’altra mazzata (lo scorso anno mi hanno anche rapinato due o tre volte mentre andavo a consegnare i giornali), bisogna stare attenti alla salute, la carta d’identità ha detto 80 e devo stare vicino a mia moglie. E poi via Lagomaggio, che era un posto buono, è diventata un mortorio con tutte le chiusure che ci sono state. Il 31 dicembre ho detto stop e adesso sto ultimando le procedure dei resi. Fino a una decina di anni fa arrivavano anche proposte per rilevare l’attività, adesso è quasi impossibile che qualcuno si faccia avanti e dovrò vederla quasi sicuramente morire».

Dai giornali alle altre passioni. Partiamo dai vip, con quanti si è fatto fotografare?

«Impossibile contarli, potrei riempire i vagoni di un treno. Ne ho con Beckenbauer, Maradona, Paolo Rossi, quattro o cinque album pieni, ma ora con la mascherina mi è passata anche quella voglia lì. Con il mio approccio romagnolo ruspante non ce n’è stato uno che si sia rifiutato, la più scorbutica è stata Anna Mazzamauro a Coriano ma alla fine è andata bene sempre».

Ora avrà anche più tempo per la “sua” Rimini Calcio.

«È l’altro amore della mia vita e prima di andare dall’altra parte voglio rivederla giocare con squadre importanti, non con quelle di oggi: mercoledì ne affrontiamo una che non so neanche come si chiama. Ai tempi belli andavo negli alberghi degli avversari e mi facevo foto con allenatori e giocatori conosciuti, adesso non li conosco neppure io».

Un’ultima curiosità, un moto perpetuo come lei cosa farà adesso?

«Farò il nonno e starò dietro alla mia Pia. Ah, a proposito, ditemelo quando esce l’intervista che adesso il giornale devo comprarmelo».

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