Rimini. Omicidio Di Dato, altra versione: "Bastonato da 2 persone"
Omicidio Di Dato. Ennesima versione su quanto accaduto nella serata del 3 novembre del 2021 nella “hall” dell’hotel Emanuela di via Sanremo: «La povera vittima è stata colpita con il bastone da Asim e Ivan». Lo ha sostenuto ieri mattina davanti alla Corte d’Assise di Rimini Costantino Lomonaco, uno dei quattro imputati alla sbarra per l’omicidio del 45enne in odor di camorra, morto dopo 9 giorni di agonia al Bufalini di Cesena a causa del pestaggio «durato almeno 20 minuti». Lomonaco, che è difeso dagli avvocati Roberto Brancaleoni e Francesco Pisciotti, è stato l’unico ad aver accettato di confrontarsi con il pubblico ministero Paolo Gengarelli. Il secondo imputato presente in aula, il croato Ivan Dumbovic (avvocato Antonio Pelusi) il cui nome alla racchetta da trekking usata per colpire al capo «la povera vittima» è stato collegato dal gestore dell’hotel, infatti, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Colto di sorpresa
«Avessi saputo perché Asim aveva chiesto di raggiungerlo, non ci sarei mai andato» ha ripetuto Lomonaco prima al Pm e poi alla presidente Fiorella Casadei. Che ha pure detto di essere stato sorpreso dall’arresto «perché Dumbovic mi aveva assicurato che Di Dato non era più in coma ma non poteva parlare perché aveva la mandibola fratturata». Lomonaco ha spiegato di aver ricercato per un motivo ben preciso Dumbovic: non riusciva a mettersi in contatto con Asim Samardzic, l’organizzatore della spedizione punitiva. «Dopo il pestaggio ci siamo ritrovati al ristorante dove avremmo dovuto parlare del furto di un’auto già programmato - ha puntualizzato -. Ad Asim ho detto che quanto successo non mi piaceva perché ci avrebbe, mi avrebbe portato dei guai. Lui mi ha rassicurato: se ci fossero dei problemi io mi assumerò tutte le responsabilità». Da quel giorno di Asim «che con fare criminale mi ha aggredito quando ho cercato di bloccare il pestaggio e fargli restituire ad Antonino i 500 euro che gli aveva sfilato dalle tasche perché diceva erano destinati ai figli» si sono perse le tracce.Dopo aver spiegato il perché del pizzino mandato a un ristoratore napoletano detenuto ai Casetti «che conoscevo bene perché abbiamo avuto due locali vicini alle Cantinette, per dirgli che io con la morte di Antonino non avevo nulla a che fare», ha dato anche la sua versione sul testimone pure lui napoletano, che lo ha inchiodato accusandolo d’essere stata parte attiva nel pestaggio. «Su di lui mi aveva messo in guardia un amico. Lo aveva sentito parlare ad una festa. Diceva chiaramente che gli stavo antipatico e avrebbe fatto di tutto per farmi finire nei guai fosse stato interrogato dalla Polizia (le indagini sono state eseguite dalla Squadra mobile)». Prossima udienza il 30 giugno.