Rimini, "noi due papà e la nostra famiglia dove siamo tutti belli"

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«Ma chi se ne frega. Siamo una famiglia e siamo tutti belli». Ha espresso così la sua riflessione sulla diversità il piccolo Sebastian che ha due papà, un gemello e una mamma di pancia (o surrogata che dir si voglia) che vive negli States. Era il 2022 e aveva appena 4 anni. Lui e il fratellino hanno il corredo genetico della donatrice degli ovuli e ognuno i geni di uno dei due padri per scelta. Che li hanno desiderati con tutte le loro forze. La storia comincia sulla spiaggia 137 di Rimini, galeotta una partita di beach volley in cui Carlo e Christian, ex professionisti e ora scrittori vengono colpiti «non da una pallonata ma da un colpo di fulmine». Era l’estate del 2014. Un sorteggio li ha messi sulla stessa squadra e da allora non si sono più lasciati, coronando il loro amore con l’unione civile del 2017.

Carlo, avete sempre desiderato diventare papà?

«Il nostro sogno impopolare e irrealizzabile in Italia parte da lontano. A unirci non era solo la passione ma un amore progettuale che ci ha condotti dall’altra parte del mondo: prima in California per la procreazione assistita e poi in Nevada per incontrare Krista la “mamma di pancia” dei nostri bambini. Il piano “B” non esisteva, se l’adozione ci fosse consentita, oggi avremmo una squadra di calcio, non due figli».

Quale il percorso affrontato?

«Le agenzie fungono da intermediarie mettendo in contatto gli aspiranti padri con la potenziale donatrice e poi con la gestante. Il percorso inizia con la fecondazione in vitro. La selezione delle candidate è rigorosa e scarta il 95% delle donne che vorrebbe partecipare al programma, impiegando test psicologici e controllando persino la fedina penale di tutte le persone coinvolte. Bisogna infine rispettare numerosi criteri. Il primo è che la donna deve essere già madre e godere nella sua scelta del supporto di tutta la sfera familiare, figli inclusi. Anche Krista ci ha scelto e ora siamo una famiglia allargata. Ci rechiamo negli States una volta all’anno e quando accendiamo Skype ci capiamo al volo, anche i miei genitori che non parlano inglese, perché a prevalere è l’amore».

C’è chi parla di mercificazione.

«Tornando alle regole, le mamme di pancia non devono essere sotto di una certa soglia di Isee. Krista, che vive in un quartiere residenziale, ha compiuto una forma di altruismo che forse in Italia non comprendiamo a pieno. Ha reso completa la nostra famiglia. Nessuno ha nascosto niente e tutti ci hanno accolto con naturalezza, anche la maestra dei suoi figli sapeva chi eravamo. La cifra che occorre? Va dai 70mila ai 150mila dollari e spetta in primis ai tanti professionisti coinvolti, dai medici agli avvocati, a fronte di una sanità che in America è privata e a cui, ricordiamolo, si stanno rivolgendo due stranieri. Per il percorso di due anni che ha vissuto con noi, Krista ha ricevuto un rimborso che equivarrebbe a due ore al giorno di lavoro in Autogrill. Nessuna mercificazione, dunque, solo la scelta volontaria di condurre una gestazione per chi non può avere figli in altro modo. Tradotto: non si può fare di tutta l’erba un fascio, specie nei Paesi che nel tessuto sociale registrano questa possibilità da oltre vent’anni».

Com’è stato il ritorno in Romagna?

«Prima che volassimo in Nevada, il ministro alla famiglia Lorenzo Fontana aveva sentenziato che per lui le famiglie arcobaleno non esistevano. Cinque anni fa i nostri gemelli avevano la doppia cittadinanza, italiana e americana, e regolare certificato di nascita ma la trascrizione al Comune di Coriano è stata impossibile. Non ci erano concessi i diritti dati per scontati da qualsiasi famiglia. Alle nostre pec non è mai arrivata risposta, in compenso l’amministrazione commentava il fatto ovunque. Conseguenza: niente pediatra né vaccini, né tanto meno congedo parentale. Per sette mesi abbiamo pagato un medico privato e posso ringraziare l’azienda per cui lavoravo che mi ha offerto l’aspettativa senza retribuzione. Se fossi stato un dipendente pubblico mi sarei dovuto licenziare. Il nostro legale era il celebre Alexander Schuster, il primo che a Trento è riuscito a trascrivere un atto di nascita con due papà. L’alternativa c’era: registrare un bambino per ognuno di noi, ma avremmo dichiarato il falso: i gemelli non sarebbero risultati fratelli e noi saremmo passati per genitori single. Una volta trasferita la residenza a Rimini, l’allora sindaco Andrea Gnassi ha detto che la sua responsabilità era garantire il benessere dei cittadini e che c’erano due bimbi che avevano bisogno di un pediatra e di iscriversi nella graduatoria per il nido. Tempo 24 ore e la trascrizione completa era nero su bianco».

Cos’è che vi fa soffrire oggi?

«Fa male questo bullismo istituzionale ma anche essere sempre nell’occhio del ciclone. Nel momento in cui vuoi considerare reato il modo in cui sono nati i nostri figli, li stai condannando a uno stigma innescando una percezione negativa nei confronti della nostra famiglia. Christian e io abbiamo le spalle larghe anche di fronte alle violenze verbali ma la situazione influenza il futuro, costringendoci a una super protezione dei bambini, rispetto a una società ostile che è influenzata da chi dovrebbe invece garantire la loro serenità».

Una pillola di saggezza dei gemelli?

«A tre anni Julian ci ha chiesto di conoscere una famiglia con due mamme: sapeva già che esistono diversi tipi di famiglia, segno che il semino dell’inclusività stava sbocciando. L’anno dopo Sebastian rifletteva sul fatto che non è alto come suo fratello, pur essendo gemelli, e che io sono più alto di papà Christian, sebbene abbia dieci anni meno di lui. Poi d’improvviso se n’è uscito con un: “Ma chi se ne frega! Siamo una famiglia e siamo tutti belli”».

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