Un’intera regione messa in ginocchio tra inondazioni e fango. Solo una tragica fatalità o è la natura che, oltraggiata, presenta il conto? A dare la sua interpretazione di una calamità senza precedenti è l’ecologo e docente all’Università di Urbino, Riccardo Santolini, membro del Comitato nazionale per il Capitale naturale.
Professor Santolini, come si spiega questa tragedia?
«L’eccezionalità del fenomeno con cui facciamo i conti c’è tutta, ma c’è nella misura in cui siamo consapevoli che sono in atto cambiamenti climatici e che questi fenomeni ciclonici saranno la norma. Fino a 30-40 anni fa, le condizioni climatiche erano relativamente ripetitive e questi fenomeni erano eventi straordinari, in linea di massima prevedibili. La scelta di gestione idraulica dei fiumi era quella di portare a valle nel minor tempo possibile l’acqua che cadeva e quindi il sistema era rivolto a costruire argini che contenessero la piena dei 50 anni, quella dei 100 e anche quella dei 200».
Resta traccia del tempo che fu?
«Questa impostazione ha caratterizzato tutta l’odierna gestione idraulica dei fiumi nella “sicurezza” che nulla sarebbe cambiato. Al contrario la sicurezza idraulica è tema di stringente attualità, dato che a fianco degli argini abbiamo costruito e sviluppato attività non certo compatibili con la funzionalità ecologica del fiume che significa ad esempio infiltrazione efficace per la ricarica delle falde. Funzioni di interesse collettivo e se l’acqua corre via in argini o incisioni di argilla impermeabili questo non può succedere».
Calamità simili diventeranno la norma?
«Come dicono i climatologi queste situazioni cicloniche saranno la norma in Mediterraneo però ci saranno delle difficoltà di previsioni a lungo periodo».
Errori che potevano essere evitati?
«Da decenni si dice che i fiumi hanno necessità di essere rinaturalizzati. L’Unione europea ci indica di liberare 25mila chilometri di fiumi dagli elementi artificiali per riguadagnare funzioni utili alla collettività. Occorre cambiare i paradigmi di gestione idraulica ed economica dei bacini idrografici con una gestione dei versanti più funzionale al mantenimento del suolo, potenziando un’agricoltura attenta alla cura del territorio. Va incentivata un’agricoltura che sia bene collettivo nella manutenzione del territorio riconoscendo anche in senso economico le funzioni ecologiche che le azioni umane possono attuare. E non solo».
Ovvero?
«È necessario cambiare la logica economica, il paradigma con cui si affronta la gestione del territorio, bisogna ripensare la gestione dei fiumi. Nel 2013 si è attivato un processo di Pianificazione strategica di area vasta che ha coinvolto il Comune di Rimini e i dieci Comuni della Valmarecchia nell’approvazione del Contratto di Fiume del Marecchia. Dal Comitato istituzionale nel 2016, la Regione ha approvato, protocollo 424 del 18 luglio 2016, lo schema di accordo “Contratto di Fiume Marecchia”. Una condivisione di azioni che hanno quindi portato a un piano mai attuato perché manca la firma di alcuni sindaci. Eppure è un approccio innovativo che in molti hanno copiato ricevendo fondi del Pnrr. L’obiettivo? Rendere il territorio più resiliente possibile».
Un’altra proposta?
«Aumentare la copertura della vegetazione che deve essere resa anche armonica con azioni di agricoltura compatibili con il territorio. La Valmarecchia possiede realtà storico naturalistiche e ambientali in grado di sostenere un’economia importante per la comunità. Ricapitolando: non kiwi in Valmarecchia ma grani antichi. Un altro nodo? Siamo figli di un’agricoltura meccanizzata su vasti territori mentre servono azioni diffuse compatibili con la natura di terreni instabile e fragili».
Sempre meno persone si dedicano all’agricoltura.
«Un vero peccato perché legare le persone al territorio crea nuove sentinelle che possano riferire per tempo e risolvere certe criticità. È un lavoro che merita un maggior riconoscimento economico indirizzato alla gestione del bene pubblico e non al mancato reddito. Butto là una provocazione».
Prego.
«Non sarebbe una cattiva idea se si destinasse un euro della tassa di soggiorno al ripristino idraulico ed ecosistemico dei bacini fluviali o al mantenimento delle colture ecocompatibili. Cioè alla cura del territorio. Con 5 milioni di presenze in estate e 15 all’anno circa, ci sarebbero risorse da usare sotto la voce “pagamento dei servizi ecosistemici articolo 70 della 221 del 2015”. Le falde freatiche hanno una capacità di 100 milioni di metri cubi più i 33 milioni di Ridracoli. È ora di riconoscere alla montagna quelle azioni che servono a mantenere risorse pubbliche e beni comuni, come l’acqua, e che possono generare economie e identità territoriale a tutela di tutti. Ne trarrebbe beneficio l’intera comunità anziché subire i tagli dei boschi per la sostituzione del metanodotto o l’artificializzazione dei fiumi».