«Ho bruciato 200mila euro al gioco». È iniziata quasi vent’anni fa con una serata al bingo la discesa all’inferno della 40enne Mina che (nome di fantasia) sta vivendo un nuovo inizio da 365 giorni esatti, grazie ai “Giocatori anonimi”. Com’è cominciata la sua caduta nel vuoto? Nessun motivo scatenante, né traumi pregressi. Neanche uno scheletro nell’armadio. Mina è entrata in una sala Bingo con alcune amiche per trascorrere una serata diversa. Era una ventenne come tante finché ha vinto mille euro. Un istante, che col senno di poi definisce la sconfitta più cocente, anzi «l’inizio della fine».
Mina, si gioca per vincere?
«L’obiettivo è vincere per giocare ancora. Da ludopatica compulsiva conducevo due vite. All’esistenza da fidanzata, figlia e lavoratrice perfetta si affiancava un percorso sotterraneo costellato di bugie e finzioni, ma finché non ho confessato, nessuno si è accorto di niente. Del resto era normale vedermi uscire la sera per rincasare il mattino dopo. Col tempo ho lasciato perdere le amicizie, dicendo addio a discoteca e normalità».
Ha sperimentato altre forme di gioco?
«Dal bingo sono passata alle macchinette, prima con gli spiccioli poi con la carta, senza dimenticare le slot fino all’ecatombe del gioco online».
Quando ha capito di avere una dipendenza?
«A 7 anni dalle cartelle vincenti del Bingo, quando ho parlato con la mia famiglia e mi sono rivolta al Sert. Nessun lieto fine, però. Sono andata a pochissime sedute, ricominciando a giocare di nascosto. Finché ho iniziato un percorso con lo psicologo che mi ha consigliato un consulto psichiatrico. Parliamo dell’anno scorso. La differenza l’ha fatta il gruppo di mutuo aiuto dei Giocatori anonimi».
Quanto ha perso negli anni?
«Non è semplice quantificare, ma direi l’equivalente di un monolocale, circa 200mila euro. La vincita maggiore ammontava a 10mila euro, ma qualunque fosse la somma la rigiocavo. Nel computo delle perdite vanno inseriti il mio moroso, amici e conoscenti, salvo due amiche storiche».
Il maggior pericolo per i giovani?
«Il gioco online. Basta un clic, non c’è neanche lo sbattimento di salire in auto. E spendi con una carta, non hai neppure la sensazione concreta dei soldi in tasca. Quando la compulsività è al massimo, bruci lo stipendio in mezz’ora. Il gioco diventa l’unica ragione di vita, non ti interessa nient’altro».
Trappole da evitare?
«Tutto è studiato nei minimi dettagli, dai colori in poi. Nelle sale gioco non ci sono orologi, quando esci non sai se è notte o sta piovendo. Vorrei che ambienti del genere sparissero o che almeno si intensificassero controlli e prevenzione. La stranezza? Nelle pubblicità degli alcolici si invita a bere responsabilmente, vicino alle macchinette c’è solo un numero da chiamare “se il gioco è diventato un problema”. Un numero di cui tutti se ne infischiano».
Si guarisce mai del tutto?
«No, ma con l’impegno si ottengono grandi risultati, un passo alla volta. E non solo. Nell’associazione dei Giocatori anonimi ho trovato fratelli e sorelle che ascoltano senza giudicarmi. Siamo malati emozionali ed ora intercetto scariche di adrenalina nelle riunioni o nel secondo tempo della mia vita. Nel frattempo ho imparato la lezione più grande: vivere 24 ore alla volta».