Rimini. Gualano: "Non ho preso soldi, sono vittima di una vendetta"

«Non ho la più pallida idea di come quei 26mila euro che mi sarei intascata siano saltati fuori; anche perché io di quei soldi, estrapolati forse dai dati dei costi che devono essere stimati quando si presenta un progetto, non ho preso né toccato neppure un centesimo». Punto. Un vero e proprio terremoto emotivo quello abbattutosi su Paola Gualano, ex presidente dell’associazione “Rompi il silenzio” che sette ex socie «che da giorni con toni sempre più minacciosi si stanno scontrando con il Comune perché non accolte nella Consulta delle associazioni» hanno denunciato lei e una collaboratrice per truffa. «È evidentemente una vendetta per come è stata esposta» commenta Gualano «fatta da persone con cui abbiamo avuto degli scontri verbali più accesi ma niente di più». Una accusa per la quale il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione, atto contro cui le denuncianti hanno presentato opposizione. «Tra l’altro - commenta Gualano - non sono mai stata convocata in Procura dove sarei andata senza alcun problema». Anche perché in quegli uffici al terzo piano del palazzo di giustizia, per aiutare donne in pericolo, c’è salita più e più volte.

L’indignazione

«Oggi (ieri ndr.) non è stata una bella giornata per me fino a quando ho iniziato a leggere le molte testimonianze d’affetto scritte sulla nostra pagina Fb. Tante istituzionali ma molte, moltissime, a firma di donne che in questi 15 anni di attività abbiamo aiutato. Troppe persone non hanno la più pallida idea di cosa sia il lavoro per un centro anti violenza. Noi siamo abituate a lavorare coi gomiti nel fango e mute come diceva Giulia Corazzi. All’esterno si sa poco per la tutela delle vittime e delle operatrici».

Gualano è indignata per lo scarso rispetto mostrato non tanto verso di lei, «ho buttato anima e cuore dando la disponibilità alla reperibilità 24 ore su 24 per 10 anni ogni giorno». Ma, soprattutto, per il trattamento riservato alla collega fino a poche ore fa una sconosciuta cui è stato dato un nome e un cognome «mettendola così in grave pericolo». Chi c’è dietro a questa vendetta? «Purtroppo notiamo sempre che le femministe qualche problema con il patriarcato ce l’hanno e quando non riescono ad ottenere quello che vogliono riversano la loro rabbia su altre donne esattamente come fanno i maschi».

Tanto lavoro

«Rompi il silenzio non è una realtà appena nata. Noi ci siamo costruite in 15 anni una rete che è il fiore all’occhiello nella nostra regione. Una rete unica con le forze dell’ordine, la Prefettura, la Procura della Repubblica che non c’è da nessuna parte. Non siamo le ultime arrivate come quelle associazioni che stanno approfittando di certe situazioni. Noi abbiamo la formazione continua, obbligatoria».

Ultima considerazione: «Avrei invece fatto a meno di questa nota nel curriculum. Se proprio doveva essere, ho sempre detto che avrei voluto essere denunciata da un maltrattante».

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