Rimini. Clan Contini e camorra, confermate le maxi condanne

Ha cercato di sbaragliare le “famiglie” da tempo presenti nel Riminese, a suon di agguati, minacce, torture cui sottoporre gli uomini delle altre organizzazioni. Gli è però andata male. Colpa dei carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto operativo del comando provinciale e della Direzione distrettuale antimafia di Bologna che con l’operazione Hammer, chiusa nell’ottobre del 2019, hanno spazzato via i sogni di grandezza di Ciro Contini, camorrista e “cane sciolto” del clan che non sapeva nulla della sua smania di conquistare la Riviera. Ciro Contini, poco più che trentenne, in primo e secondo grado è stato condannato a 20 anni di reclusione, 12 e 8 mesi quelli inflitti al suo braccio destro Antonio Acampa; condanne anche per Armando Savorra (16 anni), Cosimo Nicolì (16 anni), Fabio Rivieccio (13 anni), Pasquale Palumbo (12 anni e 4 mesi), Francesco Capasso (8 anni e 4 mesi), Massimiliano Romaniello (8 anni e 8 mesi) e Giuseppe Ripoli (5 anni e 4 mesi). Tutti hanno presentato ricorso in Cassazione nella speranza di veder rideterminate le proprie condanne o, in alcuni casi, di veder ricelebrato il processo. Ricorsi respinti o dichiarati illegittimi dalla sesta sezione della Suprema corte. Cassazione che non si è pronunciata su un altro condannato Antonino Di Dato, sodale del clan rivale ai Contini, morto per le conseguenze di un brutale pestaggio subito il 3 novembre del 2021.

L’indagine

Tutte le notizie raccolte dagli investigatori dell’Arma sulla guerra scatenata dal “cane sciolto” contro Massimiliano Romaniello, hanno trovato le prime importanti conferme grazie alle intercettazioni telefoniche. Un riscontro rispetto ai metodi spicci del gruppo di Contini – già reggente della “paranza dei bambini” di Forcella che amavano dare lezioni ai rivali a suon di bastonate e martellate –, i militari lo avevano avuto fin dall’avvio dell’inchiesta. Nell’introdursi di nascosto negli uffici della “Viserba Rent” (l’autonoleggio usato per il reimpiego di soldi sporchi) per piazzare le “cimici”, avevano infatti trovato due mazze da baseball, tenute a portata di mano su una scaffalatura ‪metallica dietro alla scrivania. La lotta tra i due gruppi si stava facendo feroce: dopo la richiesta di “protezione” da parte di un imprenditore taglieggiato, la contesa fu portata all’attenzione di uno dei capi storici della camorra campana, chiamato a dirimere il conflitto nella sua villa in Campania davanti ai rappresentanti delle varie famiglie. Tutto inutile. Solo le manette di carabinieri e Dda avevano bloccato la scalata e annientato anche il secondo clan.


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